‘’È un momento difficile per l’Europa. Dobbiamo ancora parlare di persone in fuga, inermi, spaventate. Impossibile non citare l’Ucraina. Per questo vogliamo riannodare i fili della storia: chi fa il giornalista deve conoscere le ragioni delle intolleranze’’.
Con le parole della moderatrice nonché Consigliere segretaria Maria Maddalena Lepri si è aperta la conferenza organizzata presso la Sala stampa della Camera dei deputati dal Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio per ricordare i colleghi e tipografi romani di religione ebraica perseguitati dalle leggi razziali.
‘’Un’iniziativa lodevole che si pone nel solco di ricostruire una storia, di dare dignità a delle persone che sono scomparse, vittime della persecuzione nazifascista, che le ha dapprima private del loro lavoro e poi in molti casi deportate e sacrificate nei campi di sterminio’’, ha detto la presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello, intervenendo nel dibattito.
E dire che, come ha raccontato lo storico Enrico Serventi Longhi, molti di loro furono ben addentrati all’interno della società fascista italiana: per il contributo degli ebrei durante i periodi del Risorgimento e della Prima Guerra Mondiale, nulla lasciava presagire l’odio antisemita che si sarebbe successivamente abbattuto su di loro. Anzi, molti addirittura si indirizzarono verso un processo di assimilazione culturale che li allontanava dalle proprie origini.
La categoria giornalistica fu invece la prima ad essere colpita dagli effetti dell’ideologia razzista. Nei confronti di questa vennero infatti diramate le prime norme applicative delle leggi razziali del 1938, nel giugno del ’39. Tuttavia, in alcuni casi, soprattutto nella città di Trieste, molti giornalisti furono espulsi dal circolo della stampa, dall’albo professionale, dal sindacato nazionale e licenziati dalle redazioni prima che le leggi divenissero operative.
Stando alla ricostruzione di Serventi Longhi, in Italia furono 90 i colpiti da un provvedimento di espulsione, 30 solo nella Capitale, più altri che furono perseguitati per altre vie. Tra queste storie c’è quella di Edoardo Ricchetti, raccontata dal direttore di Shalom Ariela Piattelli. Ricchetti fu deportato il 16 ottobre 1943 in via Flaminia, a riprova del fatto che il rastrellamento di quel giorno non fu circoscritto al quartiere ebraico.
‘’Riscoprire la vicenda dell’epurazione dall’Ordine dei Giornalisti degli ebrei romani permette di ricostruire e conoscere ogni storia, una ad una, per comprendere quanto ognuna sia in qualche modo paradigmatica. La storia di Edoardo RIcchetti e sua moglie Elvira Sacerdoti ci ricorda che le leggi razziali furono solo un presagio di ciò che avvenne dopo’’.
Per omaggiare la memoria di queste persone, il presidente del Consiglio dell’Ordine laziale Guido D’Ubaldo ha annunciato la posa di una lapide davanti alla sede in via della Torretta.
‘’Nella religione e nella tradizione ebraica c’è un modo intenso di far rivivere il ricordo, che è quello di fare il nome. Questo infatti non designa l’identità, ma l’eternità di una persona’’ – ha detto – ‘’Per un giornalista, inoltre, il nome è la firma, il sigillo del nostro lavoro e il segno del legame con esso. Per questo apporremo una lapide con i nomi dei nostri colleghi, ai quali sono state strappate via pagine della loro vita nel tentativo di lasciarli senza firma’’.
Il cantiere per la ricostruzione di una biografia collettiva è ancora aperto. Non tutte le storie, infatti, sono state portate alla luce. Per questo Serventi Longhi ha esplicitato la riflessione in corso con l’Ordine nazionale dei Giornalisti per iniziare un progetto di ricerca che coinvolga le Comunità, i musei e gli archivi ebraici sparsi sul territorio italiano. Questo si chiamerà ‘’L’antisemitismo di carta’’ e potrà costituire un punto di partenza per percorsi didattici che coinvolgano le scuole.