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    ROMA EBRAICA

    Voci di casa. I diari degli ebrei italiani raccontano la Shoah in un libro di Umberto Gentiloni Silveri e Stefano Palermo

    Nelle case ebraiche, ovunque nel mondo, si cresce sapendo che nel secolo scorso, negli anni Trenta e Quaranta, i nostri nonni e bisnonni hanno affrontato la Shoah, in qualche modo ne sono usciti vivi e questo, alla lunga, ha assicurato la nostra nascita. Non c’è un momento preciso in cui si scopre, da piccoli, la storia dello sterminio del popolo ebraico: è qualcosa che aleggia nelle famiglie e nelle coscienze ed in cui, mano a mano, si infilano i racconti dei nonni e dei genitori e si prova a dare un senso al proprio essere al mondo, forse al posto di qualcun altro. La consapevolezza del «buio del Novecento» attraversa, sin dal titolo, un libro appassionato, appena uscito per i tipi del Mulino, in cui Umberto Gentiloni Silveri e Stefano Palermo ragionano su 39 memorie di ebrei italiani conservate nell’Archivio diaristico nazionale di Pieve di Santo Stefano. Nel volume risuonano le voci di uomini e di donne che, in un ventaglio di esperienze personali e di vissuti differenti, tracciano un affresco collettivo di quegli anni terribili, portando sulla carta i toni e le emozioni delle storie intime di tante famiglie. Autori e autrici dei diari ripercorrono quegli anni terribili, tornando indietro con la memoria a momenti grandi e piccoli, in un susseguirsi di cronache, ragionamenti e riflessioni in cui si affiancano tra loro le testimonianze dei pochi ebrei italiani tornati dai lager e quelle di chi riuscì a scampare la deportazione.
    La cronologia della persecuzione italiana affiora da queste pagine e rivela, ancora una volta, l’enorme tradimento degli ideali e dei sogni del Risorgimento e dell’emancipazione imposto dalle leggi razziali del 1938. L’espulsione dalla scuola, dal lavoro, dalle amicizie, l’improvvisa solitudine si accompagnano alla repentina acquisizione di un’identità ebraica nuova e decisa da altri, che tiene insieme chi era pienamente inserito nelle comunità e chi, invece, se ne trovava a vari gradi di lontananza tra matrimoni misti e rare comparse in sinagoga nei giorni di festa solenne. Così, Sonia Oberdofer, all’epoca maestra costretta a rinunciare all’insegnamento nelle scuole pubbliche, fotografa l’autunno del 1938 e l’applicazione dei nuovi provvedimenti: «Ricordo l’ira con cui papà, di ritorno dal lavoro dal quale era stato allontanato, scagliò a terra il distintivo del partito che tutti gli impiegati statali dovevano portare all’occhiello» (p. 43).
    Ci sono gli ebrei fascisti, gli antifascisti, gli indifferenti, chi poi sarà partigiano, chi riuscirà a attraversare il confine, chi trascorre la guerra nella Palestina mandataria temendo per la sorte dei parenti rimasti in Italia e chiedendosi se la strada sionista sia quella giusta. Su tutti, dopo il terremoto del 1938, arriva, dal 1940, la guerra. La paura dei bombardamenti, la speranza di veder crollare il regime e di tornare ad essere come gli altri, il timore che, invece, le cose per gli ebrei possano peggiorare ancora. Brenno Coen, ad esempio,rammenta il 25 luglio e l’ennesima disillusione che lo seguì: «Dopo 20 anni di sofferenze, umiliazioni di ogni sorta, torture che io ed alcuni dei miei fratelli abbiamo subito, essere finalmente liberi cittadini italiani. Purtroppo questa libertà, questa gioia immensa durò pochissimo, cioè fino all’8 settembre. Qui iniziò la mia dolorosissima storia» (p. 85).
    Il cambiamento segnato dall’8 settembre è tangibile e non lascia scampo. Eugenia Bassani si trova a Ferrara, dove assiste sgomenta all’entrata dei tedeschi, allo sbandamento dell’esercito italiano e registra l’angosciante incertezza del momento: «Capimmo che era la fine. Ferrara era inerme nelle loro mani gelide e armate. Che cosa potevamo fare? Che cosa avrebbero fatto di noi ebrei? Insieme alla complicità dei fascisti, ci avrebbero consegnato ai nazisti?». Appena pochi giorni dopo, lo squillo del campanello, gli agenti della questura in cerca del «dottor Bassani», la prontezza del padre nel rispondere «è uscito, ma tornerà presto», cogliere il messaggio e il pericolo e far fuggire di corsa la famiglia dall’uscita secondaria. «Le case degli ebrei nell’antichità avevano sempre due uscite per potere, in caso di pericolo, avere una scappatoia. Quella seconda uscita in via Madama non era stata fatta per quella ragione, ma effettivamente ci fu molto utile e ancora ora, coi tempi che corrono e che sempre correranno, ci dovrebbe essere in ogni casa ebraica» – conclude l’autrice riallacciando con pessimismo i fili di storie lunghe e ripetute di sopravvivenza ebraica (pp. 88-89).
    Passano i mesi e arriva, a tappe, la libertà, quella vera. Gli ebrei italiani si guardano intorno, iniziano a comprendere l’orrore di quel che è successo e le perdite insanabili che hanno subito: i tanti sommersi nel gorgo della Shoah e l’impossibile ritorno alla vita leggera di prima. La fatica del dopoguerra e l’urgenza di tenere traccia di quel che è stato fanno da sfondo alla scrittura e provano a rispondere all’interrogativo su come studiare, raccontare e ricordare la Shoah. E donare la propria memoria privata alla memoria collettiva in carta e inchiostro è una delle possibili vie.

    Umberto Gentiloni Silveri, Stefano Palermo. Dal buio del Novecento. Diari e memoria di ebrei italiani di fronte alla Shoah, Bologna, Il Mulino, 2024

    La presentazione del libro “Dal buio del Novecento. Diari e memorie di ebrei italiani di fronte alla Shoah”, organizzata dal Centro di Cultura della Comunità Ebraica di Roma, sarà lunedì 3 febbraio alle 18.00 presso la Casina del Vallati. Con gli autori, interverranno Camillo Brezzi e Milena Santerini, moderati dall’editorialista de La Repubblica Maurizio Molinari. Sono inoltre previste le letture di Micol Pavoncello.
    L’ingresso è libero, con prenotazione obbligatoria a eventi@museodellashoah.it

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