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    Un’improbabile “Terra promessa”

    Tra le riviste conservate presso il Centro di Cultura Ebraica di Roma vi è La difesa della razza. In un numero, datato 21 giugno 1940, era proposta la “soluzione della questione giudaica “. Si trattava di un piano stabilito dal governo nazista che prevedeva la deportazione degli ebrei nell’isola del Madagascar e fu approvato da Hitler nel 1938. Con la sconfitta della Francia il tema fu ripreso da Carlo Barduzzi, convinto che le sorti della guerra stessero volgendo a favore dell’Asse Roma-Berlino. Il giornalista era una firma costante de La difesa della Razza e fu, tra l’altro, deputato dal 1924 al 1929 nonché incaricato di dirigere la «sezione letteratura» del Centro studi anticomunisti. In questa veste fu molto attivò nel reperire i nominativi di scrittori ebrei per poi proibire la lettura dei loro testi.

    Questi immaginava la definitiva deportazione degli ebrei senza prendere in considerazione la Palestina mandataria. Infatti, nell’isola africana sarebbero stati inviati circa 4 milioni di ebrei, secondo i calcoli dei tedeschi. Tuttavia, la mancata sconfitta dell’Inghilterra (che secondo i nazisti avrebbe blocca la navigazione tedesca verso il Madagascar) e l’inversione progressiva delle sorti della guerra indussero i nazisti a cambiare il piano e indirizzarsi verso la “soluzione finale”.

    Va sottolineato che l’idea della deportazione degli ebrei in quella lontana isola non era nuova. Infatti, già Paul Anton de Lagarde (2 novembre 1827 – 22 dicembre 1891), biblista e orientalista tedesco, violentemente antisemita, proponeva sul finire del XIX secolo il trasferimento degli ebrei in Palestina (allora sotto il controllo ottomano) oppure in Madagascar.

    Barduzzi, riprendendo la proposta di de Lagarde, condivisa dai nazisti, riteneva che l’isola fosse perfetta per l’applicazione del programma sia per il clima, sia per morfologia del territorio, molto ricco di risorse del suolo e del sottosuolo. La popolazione indigena sarebbe stata gradualmente traferita nell’Isola del Borneo per evitare che gli ebrei la sfruttassero. 

    Quello ebraico non sarebbe mai dovuto diventare uno Stato autonomo ma il giornalista immaginava un protettorato italo-germanico sotto il quale gli ebrei sarebbero stati gestiti e controllati.

    Come sottolineato in precedenza, il fallimento di questo progetto concorse alla realizzazione della “soluzione finale” ma, in riferimento alle cause della Shoah, non può essere dimenticato il “Libro Bianco” britannico del 17 maggio 1939. Il testo limitava l’immigrazione ebraica nell’allora Palestina mandataria a 75.000 persone per una durata di cinque anni. Inoltre, la popolazione ebraica non avrebbe mai dovuto superare il terzo della popolazione complessiva del Paese. Tale decisione impedì a moltissimi ebrei di salvarsi e li condannò a morire nei campi di sterminio.

    Questo accadeva con un apparentemente paradosso: il Mufti di Gerusalemme, autorità dell’Islam sunnita, era alleato dei nazifascisti e incoraggiò Hitler nel portare a termine il programma di sterminio degli ebrei.

     

    Theodor Herzl aveva precocemente capito che per questi ultimi non ci sarebbe stato spazio nell’Europa contemporanea e alcuni decenni dalla pubblicazione del suo scritto Lo Stato ebraico (1896) questa previsione si avverò drammaticamente. 

    In ogni caso, il nazifascismo venne sconfitto e fu lo Stato d’Israele.

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