Capire “che non sei sola, ma che prima di te ce ne sono state tante altre che hanno vissuto quello che tu stai vivendo”, è lo stimolo che ha sempre presente Violante Guidotti Bentivoglio, direttore generale di “Komen Italia”, l’Associazione che organizza la “Race for the Cure”, l’evento più grande nel suo genere in tutto il mondo, in prima linea nel combattere il tumore al seno. Da ormai quasi 25 anni, la manifestazione propone un’operazione culturale sulla prevenzione della malattia, essenziale prenderla in tempo per sconfiggerla, che colpisce una donna su nove. L’appuntamento è dal 4 al 7 maggio a Roma, al Villaggio Race al Circo Massimo con iniziative, intrattenimento, visite e screening gratuiti, per poi raggiungere altre città d’Italia. Shalom ha intervistato Guidotti Bentivoglio sugli obiettivi della manifestazione, sul valore dell’esperienza e della prevenzione e sulle barriere che ancora pongono ostacoli in un percorso in cui “nessuna donna deve sentirsi sola”.
Violante Guidotti Bentivoglio, da due anni lei è direttore generale di Komen Italia. Come vive questo impegno?
Mi è stata data una grande opportunità. Per prima nella mia vita ho avuto a che fare con l’importanza e la possibilità di effettuare visite e screening che permettono di diagnosticare in tempo la malattia. Io stessa ho avuto un tumore al seno che mi è stato diagnosticato in fase iniziale e questo mi ha permesso di poter accedere a cure non troppo pesanti con maggiore possibilità di guarigione. Komen Italia rappresenta una vocazione che mi permette di mettere in campo le mie capacità lavorative e la mia esperienza personale.
Race for the Cure è una grande operazione culturale che punta alla sensibilizzazione e alla prevenzione. Come è stata l’evoluzione dall’inizio ad oggi e come sono cambiate le sfide?
L’associazione è nata in Italia da un processo di affiliazione con la casa madre di Dallas. Riccardo Masetti, il nostro fondatore, ha deciso di portare da noi il modello con la prima Race for the Cure a Roma. Lo scopo principale è quello di richiamare le persone all’importanza della prevenzione e mettere al centro le donne che vivono un tumore del seno o che lo hanno affrontato in passato. Per tanti anni, la malattia comportava un senso di colpa ed era fonte di vergogna, ma noi vogliamo mettere fine al dolore, al timore, alla mancanza di speranza. Anno dopo anno, siamo riusciti a realizzare questo cambiamento tanto che oggi le donne che partecipano a Race for the Cure sono persone orgogliose che indossano la maglietta rosa shocking per essere testimoni che la malattia non è uno stigma ma si può e si deve combattere. Il nostro è un messaggio di speranza: bisogna parlare, affrontare il percorso di guarigione e venirne fuori.
Quali sono le barriere da abbattere ancora oggi?
Il nostro obiettivo è promuovere la consapevolezza attraverso il progetto della “carovana della prevenzione” in giro per l’Italia. È poi importante, come ho già sottolineato, non far sentire la solitudine della malattia perché sono tantissime le donne che quando si ammalano si chiudono in sé stesse. Troppo spesso i mariti e i compagni non capiscono e tendono a non occuparsi della partner in difficoltà. Bisogna spiegare ai compagni che è importante sostenere la compagna, la figlia, la nipote perché è essenziale il supporto affettivo per affrontare ciò che le attende.
Sul vostro sito c’è una pagina di messaggi delle “donne in rosa”. La condivisione dell’esperienza come può aiutare in questo difficile percorso?
Permette di condividere il peso e non è poco. Per esempio, nel mio caso sono stata aiutata da un’amica che aveva avuto un tumore al seno prima di me. Quando mi lamentavo, mi esortava a superare la cosa: “è normale – mi diceva – Poi passa”. Condividere aiuta a capire che non sei una “bestia rara”, ma che prima di te ce ne sono state tante altre che hanno vissuto quello che stai vivendo, e dopo di te ce ne saranno altre. È un percorso in cui si mettono in circolo emozioni che altrimenti resterebbero sepolte.
La Comunità Ebraica di Roma partecipa alla Race for the Cure proprio perché è una manifestazione che coinvolge i singoli ma poi si dirama per le varie comunità.
La partecipazione delle singole comunità ha un grandissimo valore. Chi fa parte del mondo Komen, fa parte di una comunità. È importante perché ci si sente protetti, parte di un gruppo dove le persone si sostengono, si aiutano, si appoggiano e si proteggono. Maggiore è il legame che si crea all’interno delle diverse comunità, maggiore è il punto d’incontro che si raggiunge.
Qual è il messaggio che alla vigilia della manifestazione vuole rivolgere alle donne?
È una parola: ‘insieme’. Insieme alle istituzioni, insieme alla famiglia, insieme alle associazioni. Insieme tutto si affronta. È importante unirsi e unire le forze in un progetto che è così fondamentale per la salute femminile.