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    ROMA EBRAICA

    Tishrì

    Preghiera, giustizia e ritorno al Signore

    Nell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma (ASCER) “Giancarlo Spizzichino” sono conservati alcuni numeri del mensile La Voce della Comunità Israelitica di Roma molto importanti per comprendere la vita della collettività ebraica della Capitale. Nel numero 1 del mese di settembre 1956 così scriveva Rav Elio Toaff a proposito del periodo di riflessione che precede Rosh Hashanah:

    “Il popolo ebraico si prepara al Capodanno fino da un mese prima alzandosi per trenta giorni nel cuore della notte per rivolgersi al Signore con preghiere di pentimento e di supplica, onde ottenere la buona disposizione e suscitarne il favore. Come ogni malattia del corpo viene curata in periodi particolarmente opportuni, in stagioni adatte, così anche le malattie dello spirito e dell’anima richiedono un periodo di cura in stagione propizia: questo periodo coincide con il mese ebraico di Elul”.

    Queste suppliche al Signore, definite Selichot (scuse), gli ebrei usano farle di notte, in sinagoga, in quanto, spiegano i nostri Maestri attraverso un’allegoria, Israele e D-o sono due fidanzati che non vogliono farsi vedere da occhi indiscreti e quindi si incontrano nell’oscurità manifestando il loro amore con frasi intense e toccanti. Durante le Selichot ogni ebreo si trova a tu per tu con il Signore chiedendo di perdonarlo per le proprie mancanze e di iscriverlo nel libro della vita il giorno di Kippur, Espiazione. Scriveva il moré Nello Pavoncello che: “la maggior parte delle Selichot, fu composta tra l’XI e il XII secolo […]. Per quanto riguarda la nostra Comunità conosciamo Selichot composte da Rabbi Sciabbatai, figlio di Mosè da Roma e suo figlio Rabbi Qalonimos […] (Archivio Storico, C.E.R, La Voce della Comunità Israelitica, n.8, settembre 1953, pag.7). Durante il periodo di preparazione alla solennità di Rosh Hashanah, anche definito Yom Ha Din, giorno del giudizio durante il quale verremo giudicati per le nostre azioni e ciò che nascondiamo a noi stessi, ciò che possiamo occultare al prossimo e al mondo che ci circonda non può essere nascosto, il Signore legge nei cuori, vede le azioni più celate per giudicarle e nel giorno di Kippur, suggellerà la Sua sentenza. Dunque, noi ebrei impiegheremo il mese di Elul con la Teshuvà, la Tefillà, preghiera, e la zedakà, atti di giustizia nei confronti delle persone e solo in questo modo acquisteremo dei meriti capaci di modificare radicalmente il giudizio del Signore. Il termine ebraico Tefillà, spiegano i rabbini, presenta la stessa radice del verbo pallol, giudicare, usando questo verbo nella forma riflessiva lehith pallel, esprimiamo contemporaneamente il pregare e il giudicare noi stessi, pertanto il tempo della preghiera è anche quello dell’autocritica, della valutazione della nostra condotta, ילוי, אליעזר בן אליקים ,סודות התפלה.

    ***

    Concludo con questa poesia in giudaico-romanesco scritta da Giorgio Levi Mortera nell’ottobre 1957 intitolata Rosh Hashanah (Archivio Storico della Comunità ebraica di Roma, La voce della Comunità Israelitica, anno VI, n.1, pag.8)

    “Diventamo” zaghenne “Samuele ecco un antr’anno che è passato già, ringrazziamo però Dio d’Israele che cià fatto arivà a “Rosciascianà”. […] Famose un po’ n’esame de coscienza e studiamo la nostra posizione in questi giorni de la penitenza. – Semo stati un tantino maldicenti? Quando “Sciofar ce chiamerà a raccolta si la preghiera sarà stata accettata ce potremo sentì vicino a Dio”[…].

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