Via dei Giubbonari, 30. Qui hanno vissuto le famiglie Limentani e Tagliacozzo, anche prima della deportazione.
La famiglia Limentani era formata dai genitori, David e Virginia Piperno e dai loro sei figli: Rosetta e Cesira (morte prematuramente), Clelia, Franca, Settimio e Angelo.
I Tagliacozzo, invece, erano un nucleo composto da Prospero, da sua moglie Bellina e dai loro cinque figli: quattro ragazze ed un unico maschio, Angelo.
Con l’occupazione nazista di Roma, le famiglie si ritrovarono a vivere nella stessa casa. Qui ha anche abitato Sami Modiano con Settimio Limentani dopo essere stato liberato da Auschwitz.
All’entrata del palazzo sono visibili le pietre d’inciampo dedicate ad Angelo Limentani ed Angelo Tagliacozzo e, più avanti, la targa degli Stabilimenti Spagnoli in Italia installata nel 2018 e dedicata ai membri delle due famiglie che hanno perso la vita nei campi di sterminio o alle Fosse Ardeatine.
Ad un anno dall’installazione, proprio lì è avvenuta la cerimonia di commemorazione organizzata dall’Ambasciata Spagnola presso la Santa Sede insieme alla Dott.ssa Elvira Di Cave, alla presenza del Presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello, di Rav Alberto Funaro, di Sami Modiano, di sua moglie Selma e delle famiglie Limentani e Tagliacozzo.
L’Ambasciatrice Doña María del Carmen de la Peña Corcuera ha fatto le veci degli Stabilimenti, deponendo una corona di fiori e chiedendo a Sami Modiano e alle due famiglie il perdono pubblicamente a nome dell’Istituzione che rappresenta per il male commesso. É la prima volta nella storia che una nazione chiede direttamente ad un sopravvissuto di essere perdonata. “Vogliamo che la Memoria si ravvivi, e vogliamo che gli errori del passato non si ripetano. Questo evento deve contribuire alla loro non ripetizione”, ha detto.
Durante l’evento, le testimonianze accorate dei discendenti delle famiglie e di Modiano stesso, che ha ricordato Settimio Limentani: “Con lui ho intrapreso un viaggio lunghissimo, carichi di speranza. Nelle parole di Settimio c’era sempre la speranza di trovare un fratello deportato, di trovare la famiglia. Mi ricordo tutto, non posso dimenticare. Per me era la prima volta che mettevo piede a Roma, sono stato accolto come un figlio. Poi c’è stata la separazione, ognuno è andato per la sua strada, pur rimanendo sempre in contatto.”