Tante, tante persone hanno partecipato ieri sera, presso il Pitigliani, alla commemorazione di Piero Terracina, ad un mese dalla sua scomparsa. Dopo i saluti del presidente del Pitigliani, Bruno Sed, è intervenuto brevemente in apertura Ettore Terracina, nipote di Piero. Ha ricordato il legame che legava Piero all’istituto Pitigliani, ma soprattutto la coincidenza che l’anniversario del mese della sua scomparsa sia caduto proprio il 10 del mese di Tevet, il giorno in cui il calendario ebraico ricorda le vittime della Shoah.
Sul difficile rapporto tra trasmissione della memoria e Shoah e sul valore religioso del ricordare è intervenuto il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni che ha spiegato che nella tradizione ebraica il ricordo di un defunto si compie attraverso un ‘limud’, una lezione, uno studio. Rav Di Segni nel citare alcune discussioni talmudiche tra rabbi Akivà e rabbi Shimon si è posto il problema – vecchio di migliaia di anni ma sempre attualissimo – di quando si celebra il ricordo: il giorno dell’evento o il giorno della notizia dell’evento ? Nella trsmissione della memoria dei fatti, deve prevalere l’oggettività o la soggettività ? Nella memoria collettiva cosa conta: il fatto in se stesso o chi lo ha raccontato?
E’ poi intervenuta Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, che ha posto l’attenzione sul modo in cui proseguire l’opera di testimonianza svolta da Piero Terracina, nel corso di questi anni. “In un solo mese dalla sua scomparsa – ha detto la Di Segni – sono avvenuti così tanti eventi di matrice neofascista e di rigurgiti antisemiti e negazionisti che mi pongo la domanda: tu come avresti reagito?”. Dobbiamo trarre insegnamento dalla storia di Piero ed affermare che fare memoria non è solo un modo di agire, ma deve diventare un modo di essere, per il quale ci vuole coerenza.
Il presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, ha invece ripercorso la vicenda umana di Piero, incentrata sull’impegno di raccontare, di non affidare ad altri la narrazione di vicende tutte ebraiche. “Un ricordare – ha sottolineato la Dureghello – che però non ha mai fatto sconti: non ha mai perdonato gli aguzzini”. “L’esperienza di Piero, il suo modo di essere e di fare memoria – ha concluso – deve essere dentro di noi. Un po’ di Piero deve stare in tutti noi”.
Successivamente – non senza emozione – sono intervenuti Elvira Di Cave che ha ricordato il legame strettissmo – addirittura fraterno – tra Piero Terracina e l’altro sopravvissuto alla Shoah, Sami Modiano, che oggi – pur sentendo il dolore fortissimo di aver perso una radice della propria vita – “si è assunto l’impegno e lo sforzo di raccontare per due”.
Successivamente Lello Della Riccia, presidente dell’Associazione Progetto Memoria, ha ricordato l’entusiasmo con cui Piero si recava a testimonaire nelle nelle scuole, ed il fatto che egli si preoccupasse di non limitare il ricordo al solo passato, ma cercasse di sensibilizzare le nuove generazioni sulle nuove vittime, sui nuovi soggetti deboli della società. Un’attenzione alle nuove minoranze perseguitate, ai profughi, ribadito anche nell’intervento di Sandra Terracina che ha ricordato i numerosi viaggi svolti insieme a Piero per recarsi nelle scuole italiane, con le domande degli alunni, i loro dialoghi, la voglia di conoscere e capire.
Infine la testimonianza personale di Georges de Canino che ha ricordato le lunghe chiacchierate avute con Piero ed in particolare una frase che lo colpì molto: “quando incontrerò Dio – gli confessò Piero – e Lui mi chiederà cosa ho fatto nella vita, io Gli risponderò: ho ricordato”.