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    ROMA EBRAICA

    Rav Toaff a fianco di tutti

    Trent’anni a fianco di Rav Toaff

    Verso la metà degli anni Settanta, subito dopo il mio ritorno a Roma dopo aver ricoperto per oltre un decennio la cattedra rabbinica di Venezia, ricevetti una lettera dall’allora Presidente della Comunità di Roma Ing. Fernando Piperno. In questa missiva mi si chiedeva di sostituire nelle sue funzioni il Rabbino Capo Elio Toaff durante il periodo della sua malattia e della sua convalescenza. Nonostante fossi consapevole dell’onore che mi veniva dato, non riuscii allora a nascondere la mia perplessità, conscio di quanto fosse gravoso il carico di responsabilità che ricadeva sulle spalle di Rav Toaff durante il suo magistero rabbinico. Tuttavia, decisi di accettare bidchiluurchimo e l’incarico si protrasse per alcuni mesi; una volta ripristinate le condizioni di salute del Rabbino Capo fui veramente lieto di restituire il mandato ricevuto. Da allora si stabilì la mia collaborazione con il Rabbino Toaff che perdurò per oltre un trentennio.

    Rav Toaff non era certo quel tipo di rabbino seduto in cattedra ad emanare sentenze. Il suo ruolo era quello di Rabbino Capo della Comunità nel pieno senso della parola. Sua prima preoccupazione era il corretto funzionamento degli enti comunitari, sia rituali che scolastici, culturali, assistenziali ed anche dei gruppi giovanili.

    I frequenti incontri con i dirigenti e gli operatori servivano a tracciare le linee operative dei vari enti e attraverso l’attiva partecipazione del Rabbino Capo si verificava il coordinamento tra le  varie espressioni della Comunità. Ogni membro della Comunità sapeva di poter trovare sempre in Rav Toaff un orecchio attento ed una presenza accogliente e sorridente. Rav Toaff si è inoltre adoperato al recupero di tradizioni che, seppure diffuse in antico presso gli ebrei romani, erano cadute in disuso. Penso ad esempio alla cerimonia del “tashlich” di Rosh-hashanà che inizialmente raccoglieva uno sparuto gruppo di fedeli sulle scale a chiocciola della Casa di Riposo dell’Isola Tiberina e che negli anni successivi avrebbe visto centinaia di persone raccolte presso le rive del Tevere. Il discorso vale per tanti altri riti come il Tikkun di Oshaanna Rabbà, la benedizione per il sole, e così tante altre cerimonie che assumevano non solo un aspetto religioso, ma anche un carattere socializzante.

    Rav Toaff non mancava di partecipare a cerimonie e manifestazioni di carattere nazionale. Non si trattava solo di svolgere un ruolo di rappresentanza, ma di ribadire sempre l’importanza della Comunità ebraica nel tessuto sociale nazionale e cittadino.

    In questa carrellata di ricordi, non posso fare a meno di ricordare alcune esperienze che indubbiamente hanno avuto profonda incidenza sull’animo mio e di Rav Toaff. Nel 1988 accompagnai Rav Toaff negli Stati Uniti per un insieme di manifestazioni culturali. Trovandoci a New York pensammo di recarci a Brooklyn a far visita al Lubavitch Rebbe per porgergli le condoglianze per la recente morte della moglie. Arrivati alla residenza del Rebbe, rimanemmo impressionati dall’enorme fila di gente che aspettava pazientemente di giungere alla sua presenza. In quanto attesi riuscimmo ad entrare nella sala e ritrovarci subito di fronte al Rebbe. L’emozione fu grande e indescrivibile. Il Rebbe ci accolse con parole di benedizione e di auguri, rivolte non solo nei nostri confronti, ma verso l’intera comunità romana. Egli si rivelò informato sulla situazione della Comunità di Roma ed espresse congratulazioni per la partecipazione alla campagna per lo studio dell’opera di Maimonide che a Roma era culminata con una importante giornata di studio. Quell’incontro rimase impresso nei nostri cuori e divenne spesso oggetto di riflessione e di approfondimento.

    Un’altra esperienza condivisa con Rav Toaff molto significativa fu però, al contrario della precedente, intensamente sconvolgente. Rav Toaff aveva ricevuto l’invito per il conferimento della laurea Honoris Causa dalla prestigiosa Università Cattolica di Lublino in Polonia e volle che andassi con lui. Dopo la cerimonia fummo accompagnati a visitare la città e i luoghi ebraici. Sapevamo che Lublino era stata sede di un’importante comunità ebraica sin dal XVI secolo, centro di studi ebraici da parte di prestigiosi personaggi come il Maharam di Lublino e Rabbi Zadok Hakoen autore di numerose opere che per molti anni è stato per me oggetto di studio e tema di insegnamento a numerosi studenti del Collegio Rabbinico. Dopo la Shoah e le vicende successive, sono rimaste solo le vestigie di quel glorioso passato. L’edificio della “Grande Yeshivà dei saggi di Lublino” era stata trasformata nella facoltà di medicina; le numerose sinagoghe superstiti dopo la distruzione del quartiere ebraico erano diventate magazzini o musei; tombe di rinomati Zaddikim si vedevano ingabbiate in feritoie, in campi desolati che certamente in origine erano cimiteri ebraici. Accanto a ciò si percepiva la desolazione in tanti individui che incontravamo a seguito dell’assimilazione e delle tragedie subite. Il viaggio a Lublino si concluse con la visita al campo di concentramento di Majdanek.  Alla presenza di numerosi visitatori abbiamo recitato la Haskavà, il Kaddish e il canto “Ani Maamim”. Si può immaginare con quale spirito tornammo a Roma dopo questa esperienza.

    Desidero terminare questo ricordo di Rav Toaff con una riflessione. Si legge nella Torah che durante il viaggio nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto gli ebrei commisero due gravi peccati: la costruzione del vitello d’oro e la relazione negativa degli esploratori riguardo la Terra Promessa. Nel primo caso, grazie all’intervento di Mosè, è scritto: “l’Eterno ci ripensò e perdonò gli ebrei, eliminando la punizione che aveva deciso di infliggere al Suo popolo”. Nel secondo caso invece nonostante si fossero pentiti del peccato commesso, gli ebrei furono puniti e fu decretato che quella generazione non avrebbe mai visto la Terra Promessa. C’è da domandarsi quale sia il motivo di questo differente  trattamento. Si può pensare che nel secondo caso gli ebrei avevano dichiarato espressamente che volevano sapere se la terra fosse fertile o meno, cercando di avere informazioni legate alla natura del paese e al profitto che potevano ricavarne. Si trattò di un atteggiamento che privilegiava soprattutto gli aspetti materiali, mentre nel primo caso, nel chiedere ad Aharon di fare per loro una divinità, espressero, con un linguaggio a loro in quel momento congeniale, l’anelito di sentire la presenza di Dio che li guidasse e che ascoltasse le loro preghiere. Di questi sentimenti Mosè si fece interprete davanti a Dio. Seguendo le orme di Mosè, nostro Maestro, Rav Toaff ha indicato agli ebrei della sua Comunità il modo per rafforzare la propria fede e il proprio impegno, ovvero mettendo in primo piano la volontà di “sentire” costantemente vicino la presenza di Kadosh Baruch-U, seppur ognuno secondo la propria capacità e la propria “forza”.

    In uno dei Salmi (Salmo 29) si afferma “Kol Ashem bakoach” ovvero “la  voce  del Signore esprime la Sua Forza”. Rav Toaff interpretava questo testo nel senso che ciascuno conosce A-Shem ed esprime la propria fede secondo le proprie forze e la propria condizione. Questo principio, grazie a Rav Toaff, ha permesso agli ebrei di Roma, seppure nella sua varietà e con diverse origini e tradizioni, di mantenersi uniti intorno alle istituzioni comunitarie, contribuendo così a rafforzare il concetto di Comunità.

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