
L’amore per Israele, l’umiltà, l’impegno per il prossimo sono solo alcuni dei temi che hanno legato due personaggi storici della Comunità Ebraica di Roma: Shalom Tesciuba Z”L e Rav Elio Toaff Z”L. Un’amicizia indissolubile fatta di parole non dette, di sguardi eloquenti e di impegno per l’ebraismo nella forma più alta e pura. Sono stati due guide per la comunità romana accomunate da educazione, sacrificio, dalla loro storia. Diversi ma compatibili come pezzi di un puzzle. “Kyf Buya”, così Elio Tesciuba, figlio di Shalom, definisce Rav Toaff, un padre affettuoso, che assieme al suo fu in grado di scrivere la storia della Comunità capitolina. “Per mio padre Rav Toaff è stato sempre uno di famiglia, un fratello maggiore. Hanno lavorato insieme instancabilmente per trent’anni. Nonostante alcuni punti di vista talvolta divergenti non si sono mai scontrati – ha raccontato a Shalom Elio Tesciuba – Per mio padre, Toaff era il timoniere della Comunità, la guidava nei valori ebraici in maniera lungimirante”.
Shalom Tesciuba è stato per oltre 50 anni un punto di riferimento per gli ebrei di origine libica a Roma. Era nato a Tripoli nel 1934; scampato alle persecuzioni, giunse in Italia nel luglio del 1967.
Tra le opere più significative di questa collaborazione vi fu l’accoglienza dei profughi libici nella Capitale, mantenendo il delicato equilibrio tra le diverse tradizioni, che si sono negli anni reciprocamente integrate. “Un esempio è il Beth-El, per cui mio padre lavorò dal 1981 proprio con Rav Toaff. Quando molti ebrei libici arrivarono nel 1967 come profughi, senza nulla, senza sapere la lingua, Toaff fece il massimo per favorire il loro ambientamento. Là mio padre comprese le potenzialità di una collaborazione. Nel 1978 nacque il Talmud Torah alla scuola Fratelli Bandiera, cuore pulsante ancora oggi della comunità tripolina. Toaff lo volle come consigliere: divenne prima Assessore al Culto, poi alla Deputazione. Nel 1981, loro due, insieme a Renzo Ottolenghi e a Sergio Frassinetti, trasformarono il Beth-El in una sinagoga. Dalle questioni economiche ai divorzi, mio padre affiancava Rav Toaff al Beth Din: insieme perseguivano strade di riappacificazione tra i membri della comunità” prosegue Tesciuba.
Questa sinergia ha prodotto benefici anche nel sostegno a Israele: furono proprio loro, infatti, a favorire i rapporti istituzionali con lo Stato ebraico. “Mio padre diceva sempre che noi siamo una nave incagliata a Roma, l’unico luogo in cui gli ebrei possono vivere è solo Eretz Israel – ricorda Elio Tesciuba – Lui è sempre stato sionista, Israele andava sostenuto senza se e senza ma, tanto da essere stato là seppellito. Quando mio padre ci raccontava le sensazioni all’ascolto della proclamazione dell’indipendenza di Ben Gurion nel 1948, ricordava le lacrime di gioia. Israele era un sogno, un luogo dove essere noi stessi”.
“L’eco delle loro azioni riecheggia ancora oggi, nonostante fossero agissero in silenzio. Parlavano poco e facevano tanto. Erano sempre presenti per il prossimo, componevano un team perché erano due leader” afferma Elio. Grazie a loro, infatti, tra gli anni ’80 e ’90 l’affluenza nelle sinagoghe, i gruppi di studio e di aggregazione raggiunsero livelli altissimi. Nel giugno del 2017, insieme a Sion Burbea, altro personaggio chiave della storia degli ebrei libici, Shalom, in occasione dei 50 anni dall’arrivo degli ebrei di libici in Italia, al Tempio Maggiore è stato insignito di un riconoscimento dall’allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Un’ulteriore dimostrazione dell’importanza del ruolo svolto per gli ebrei romani.