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    Presentato il libro “Gite ad Auschwitz”, di Emanuele Calò. Per riflettere su passato e capire il presente

    Si è tenuta ieri la presentazione del libro “Gite ad Auschwitz” di Emanuele Calò, edito DMEdizioni, presso la libreria ebraica di Roma Kiryat Sefer.

    Ricominciano così gli incontri letterari della domenica realizzati in collaborazione con il Centro di Cultura Ebraica. Tra i presenti c’era Adele De Bonis che ha dialogato con l’autore, la presidente del Centro di Cultura Miriam Haiun che ha salutato tutti i presenti e infine il vicepresidente CER Ruben Della Rocca.

     Proprio Della Rocca è intervenuto su molti temi importanti, partendo proprio dal titolo del romanzo e dal suo significato: “Hitler avrebbe sicuramente costruito un museo per far vedere quanto era stato bravo a de-ebreicizzare il mondo. Oggi bisogna ancora alzare la guardia, basta vedere ciò che è accaduto alla sinagoga di Halle. Le persone che fanno terrorismo sono le stesse che vanno a fare delle gite ad Auschwitz e questo libro potrebbe aiutare ad intraprendere un percorso per capire meglio”.

     La De Bonis ha accompagnato il lettore alla scoperta di questo romanzo che riesce a trattare un tema duro per aprire gli occhi su molte dinamiche ancora attuali. Ne Secondo lei, è un libro sviluppato in maniera universale “perché quello che è stato potrebbe riaccadere a tutti, individui e popoli. I genocidi sono sempre esistiti ed Emanuele ci fa riflettere in maniera leggera: un ossimoro già presente anche solo nel titolo che pensavo fosse legato al fenomeno dei selfie realizzati dai giovani all’interno dei campi di sterminio”.

     Nasce, quindi, una riflessione personale che, però, riesce anche ad intrattenere il lettore con un tipo di scrittura a tratti ironica. Stessa ironia che si è ritrovata durante l’evento per spezzare i momenti di approfondimenti storici e di ragionamenti.

     “Ho usato uno stile ironico perché volevo catturare l’attenzione– racconta l’autore – Bisognerebbe approfondire però come si rapporta chi è nato dopo la Shoah. Considerare gli ebrei solo vittime e commiserarli è sbagliato. – ha proseguito – Per tanti anni mi sono chiesto quale fosse l’antidoto all’odio… Forse l’invitare a ragionare.”

     L’autore accompagna il lettore in modo naturale, portandolo per mano e facendogli fare un’esame di coscienza. Nel primo capitolo viene mostrata una coppia che dopo tanti anni di matrimonio ha segreti e attriti: “mi sono ispirato a un concetto di relatività del tempo. I periodi cambiano, ma certe caratteristiche non mutano. Il tempo è una variabile e questi personaggi sono l’incarnazione del periodo molto particolare che stiamo vivendo.”

     Alberto è ebreo mentre Lea è cattolica, gli episodi di razzismo sono presenti già nelle prime pagine. L’autore spiega al pubblico come sia preoccupato da quel pensiero sottile che convoglia l’odio, citando per l’appunto il caso recente dei messaggi di odio diretti a Liliana Segre: “si ha una mistificazione della realtà dove le vittime passano per carnefici, il bullismo è molto presente come le discriminazioni. È causa anche dei Mass Media dove le vittime non avranno mai giustizia.”

     Alcune persone dal pubblico hanno posto delle domande come, ad esempio, l’importanza di tramandare alle generazioni future senza far sentire questo passaggio un “obbligo scolastico”. Ruben Della Rocca è intervenuto facendo chiarezza sul fatto che “l’impegno comunitario nella formazione per i viaggi della memoria ad Auschwitz è molto forte.”

    Bisognerà assumere maggiormente questa responsabilità morale per quando mancheranno anche gli ultimi sopravvissuti. Un diritto e un dovere che spetta a tutti gli ebrei visti gli ultimi accadimenti in Polonia: guide polacche che fanno negazionismo e revisionismo, il problema della legge sulla Shoah e i continui episodi antisemiti che sono all’ordine del giorno.

     La storia è ciclica, può ripetersi. Certi orrori potrebbero tornare e grazie a molte iniziative, anche letterarie come il romanzo di Emanuele Calò, aiutano di certo a divulgare la conoscenza per eliminare uno dei maggiori fattori di rischio sulla discriminazione verso il prossimo: l’ignoranza.

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