Un gruppo di amici ed il desiderio di rendere omaggio, ogni anno, ai morti nei campi di sterminio. L’iniziativa, nata cinque anni fa, raduna un collettivo di ebrei, uomini e donne, che partono da Roma per visitare Auschwitz e portare una preghiera. Dopo il periodo di stop dettato dalla pandemia, il gruppo è tornato ad unirsi per “onorare la memoria di chi non c’è più e per recitare un Kaddish. Andarci ogni anno dà la possibilità di capire la Shoah da più punti di vista: con il caldo, il freddo e la neve”.
A raccontare la storia a Shalom è Fabrizio Pavoncello, classe 1978, membro del gruppo e nipote di due deportati ai campi di sterminio. Il nonno materno, Servadio Moscato, per tutti Zi Moro, è sopravvissuto alla Shoah e “lavorava al Canada, ossia il luogo in cui venivano spogliati i prigionieri. Aiutava soprattutto le donne, lanciando loro dall’altra parte del filo spinato del cotone. Tutti ricordano il suo altruismo”. Il nonno paterno invece, Leone Pavoncello, non tornò mai da Auschwitz. “Non avevo il coraggio di visitare i campi, l’ho fatto solamente a quarant’anni – racconta Fabrizio – ma è un dovere: la memoria è una piccola fiamma, se si spenge è la fine”.
Numerose le persone che aderiscono all’iniziativa, alcune anche per più anni di seguito. “Molti partono per la prima volta già avanti con l’età, perché hanno sempre avuto un certo timore di recarsi in questi luoghi. Una volta fatto, però, mi dicono di essere più sollevati perché si sono tolti un enorme peso psicologico”.
Il ricavato dei viaggi viene donato internamente agli asili ebraici della Comunità ebraica di Roma, perché “la rivincita più grande è quella di ripartire dai giovani, simbolo del futuro e della vita che rinasce”.