
Alberto Terracina rappresenta una delle voci più significative della memoria della Shoah italiana. Nato a Roma nel 1921, è stato uno degli ultimi combattenti ebrei della Resistenza italiana. La sua lotta contro il nazifascismo cominciò al fianco dei partigiani jugoslavi, continuando poi con le formazioni attive nei Castelli Romani. Dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio, si mosse verso l’area tosco-emiliana, partecipando a operazioni cruciali, come quella del 20 dicembre 1944, un’azione partigiana coordinata dalla banda dei Castelli Romani che colpì duramente l’occupazione nazista: quasi simultaneamente vennero sabotati un ponte ferroviario sulla linea Roma-Formia, causando ingenti perdite tra approvvigionamenti, armi e militari (circa 400 soldati tedeschi persero la vita) e un treno carico di esplosivi sulla Roma-Cassino nei pressi di Labico. L’operazione seguì un precedente attentato minuziosamente preparato, segno dell’efficacia e del coraggio della Resistenza locale. I tre amici ebrei Pino Levi Cavaglione, Marco Moscati e Alberto Terracina contribuirono dunque alla distruzione del ponte Sette Luci: fu proprio quest’azione che ispirò Nanni Loy per il suo film “Un giorno da leoni”.
Sotto una pioggia battente, fu Alberto Terracina a trasportare personalmente circa trenta chilogrammi di esplosivo, dimostrando determinazione e coraggio in un’azione decisiva della Resistenza. Questo gesto audace fu parte di una più ampia operazione di sabotaggio contro l’occupazione nazista. Terracina fece successivamente ritorno a Roma nei giorni chiave della Liberazione, affiancando le truppe americane, dopo un’esperienza negli USA. La sua vita fu segnata da un impegno costante per la libertà e la giustizia. La sua militanza partigiana fu una continuazione naturale del suo rifiuto dell’oppressione e un atto di coraggio e riscatto, soprattutto per un giovane ebreo perseguitato. Combatté per la libertà e per la giustizia, ideali che avrebbe poi continuato a difendere per tutta la vita anche come testimone.
Dopo la liberazione, Terracina non si chiuse nel silenzio del dolore. Al contrario, fece della memoria uno strumento di resistenza. Per decenni ha incontrato studenti nelle scuole italiane, ha partecipato a iniziative istituzionali e pubbliche, ha collaborato con enti culturali per raccontare la sua storia. Le sue parole – sempre sobrie, sempre lucide – sono state un richiamo forte a non dimenticare e un monito contro ogni forma di intolleranza.
Nel suo racconto, consultabile attraverso Memorie Ebraiche, emerge una figura non solo segnata dalla sofferenza, ma anche animata da una straordinaria volontà di vita e giustizia. Terracina non è stato solo un testimone: è un custode della coscienza collettiva, un ponte tra passato e presente, un esempio di come si possa reagire all’odio con dignità, e alla barbarie con la cultura. La sua vita rappresenta un capitolo fondamentale della storia contemporanea italiana ed europea, un richiamo urgente alla responsabilità civile, oggi più che mai necessaria. Una memoria storica custodita con zelo dal nipote Alberto Spizzichino che ha raccontato a Shalom l’eroica storia dello zio “affinché le nuove generazioni sappiano come gli ebrei romani dell’ex ghetto abbiano preso parte in maniera attiva alla resistenza italiana. Con orgoglio e coraggio. Persone umili, nate e cresciute nelle strade del quartiere ebraico, che non fuggirono davanti alle ingiustizie nazifasciste”, come spiegato dal nipote, che porta proprio il suo nome, Alberto Spizzichino.