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    Il discorso di Rav Elio Toaff del 1983, in occasione del primo anniversario dell’attentato del 9 ottobre

    Ci siamo riuniti in questo Tempio oggi per commemorare Stefano, la piccola vittima dell’odio secolare che ha armato la mano di assassini che vedono nell’ebreo un bersaglio più facile e meno rischioso. La sua morte lo ricollega a tanti altri bambini ebrei che nel mondo sono caduti per la santificazione di Dio. Quanti furono in tutta l’Europa i bambini ebrei che ogni generazione caddero vittime innocenti di barbari assassini che non ammettevano l’esistenza stessa del Popolo Ebraico?

    E questo nostro popolo amante della pace, inerme portatore della parola di Dio, piange ogni volta i suoi caduti, i suoi santi, e continua la sua strada sicuro che un giorno o l’altro la giustizia trionferà e porterà a lui ed all’umanità, finalmente rinsavita, la pace e la tranquillità.

    La preghiera del giorno festivo ci aveva riempito l’animo di gioia, i bambini felici avevano ricevuto la benedizione, quando improvvisamente le bombe del nemico portarono morte e dolore.

    È sparita la gioia dai nostri cuori, la nostra danza si è mutata in lutto.

    E così la sera di Simha Torà, i Sefarim, dopo le tradizionali Hakafot, che vennero fatte senza simchà, senza gioia, ma tra le lacrime e un dolore struggente, furono fatti uscire e sostare davanti al sangue ancora fresco delle vittime dell’attentato. È stato un atto spontaneo che voleva significare una promessa, un solenne giuramento davanti a quel sangue innocente. Malgrado tutto, malgrado il pianto e l’angoscia saremmo rimasti fedeli a quella Torà di cui si celebrava la festa, pronti anche all’estremo sacrificio, pur di mantener fede all’antico patto che noi stringemmo con il Signore un lontano giorno di primavera sulle pendici del Sinai.

    Ma non abbiamo tralasciato in quel solenne momento di promettere a noi stessi che non avremmo mai dimenticato il sacrificio di Stefano e di tutti coloro che con lui versarono il loro sangue. La nostra accusa si leva ancor oggi solenne e ammonitrice verso coloro che resero possibile la strage, verso coloro che non fecero nulla per impedirla, verso coloro che non consegnano i colpevoli alla giustizia degli uomini. Una giustizia nella quale si può avere fiducia relativa, mentre siamo perfettamente sicuri che i colpevoli non sfuggiranno alla giustizia divina, che non scende a compromessi e che arriva puntuale e inesorabile a colpire i colpevoli.

    Motivo di consolazione per i genitori di Stefano può essere il sapere che il loro bambino vive oggi una vita che è tutta pace e serenità vicino al trono di Dio, insieme ai santi, ai puri e ai giusti che dettero la vita per la gloria del Signore. Egli vive e attende il momento della resurrezione, secondo la promessa profetica, per potersi riunire ai suoi cari e gioire con loro in una vita dove non ci saranno più né violenze né spargimento di sangue, ma solo pace e armonia.

    E per noi che dobbiamo ancora vivere in questo modo dove l’ostilità verso il nostro popolo continua ad essere così diffusa, c’è una sola cosa da fare. Dobbiamo prendere esempio da coloro che furo le vittime di questo attentato, da coloro che il 16 Ottobre 1943 vennero qui rastrellati e inviati nei capi di sterminio, da coloro che salirono sul rogo per non abiurare la loro fede, per rafforzare il nostro ebraismo, per essere degni del loro sacrificio e non renderlo vano. Dobbiamo rimanere uniti come lo fummo nel momento tragico della disperazione e del lamento per trovare la forza e l’energia per poter continuare la nostra strada, che è quella della storia del nostro popolo.

    Vorrei dirvi come Giobbe: ”Sì, il mio occhio ha veduto tutto questo; il mio orecchio l’ha sentito e l’ha compreso. E quello che Voi sapete anch’io lo so perché sono come Voi”. E vorrei con lui esclamare: “O terra non ricoprire il loro sangue”. Ma questo potrebbe solo appagare noi, ma non gioverebbe a Stefano. Noi per lui reciteremo in questo primo anniversario della sua scomparsa il Kaddish, che solo può dare a lui la serenità e la certezza che non lo abbiamo dimenticato, ma anzi cerchiamo ancora da qui, da questa terra dove continuiamo a vivere, di giovargli e di dimostrargli il nostro amore e il nostro affetto.

    Ai genitori, ai nonni e a tutti i parenti va la nostra fraterna solidarietà nella speranza che questo nostro sentimento rechi a loro conforto e consolazione.

    E a noi io auguro che il suo merito ci protegga e ci difenda nel duro cammino della vita perché egli lo può fare in quanto, senza peccato, ha dato la sua vita per santificare il nome del Signore.

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