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    ROMA EBRAICA

    Lo studio e l’insegnamento: la risposta virtuosa a chi attacca la cultura ebraica

    Pubblichiamo il discorso del Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni alla celebrazione del Centenario della scuola ebraica “Vittorio Polacco”

    All’inizio del secolo scorso a Roma ci fu un sindaco ebreo, per l’unica volta nella storia. Era il mitico Ernesto Nathan. Passato alla storia popolare per il suo famoso detto “non c’è trippa per gatti”. Ma disse e fece anche cose molto più importanti. Fortemente motivato all’educazione popolare disse: “Nella Roma nessuna chiesa senza scuola”. Apparentemente una frase anticlericale di stampo massonico, in realtà un profondo principio ebraico da lui declinato laicamente. E prima che alla chiesa cattolica, era una tirata di orecchi alla sua comunità, che aveva eretto il monumentale Tempio Maggiore ma si era dimenticata di una cosa essenziale: la scuola ebraica. La clamorosa assenza durò per più di mezzo secolo fino a quando, in conseguenza della riforma Gentile che i imponeva l’insegnamento della religione cattolica delle scuole, vi fu un sussulto di identità. Vittorio Polacco, senatore del Regno, cui fu intitolata la nostra scuola elementare, in suo storico discorso in senato dichiarò un profondo rispetto per la religione cattolica ma espose il problema delle centinaia di bambini ebrei di questo quartiere di cui non veniva rispettata l’identità e la fede minoritaria. Da qui nacque finalmente la scuola ebraica di Roma. Un esempio di come eventi negativi possono produrre conseguenza virtuose. E fu anche, anche se allora molti non lo capirono o lo condivisero, un esempio di come proprio la fedeltà all’ebraismo potesse costituire una forma di resistenza all’involuzione autoritaria e irrispettosa delle differenze del nascente stato fascista.
    La sfida era ed è quella di creare una scuola ebraica, non una scuola per ebrei. Fu lo stesso problema che si pose con le leggi razziali in cui lo stesso stato fascista allontanò gli ebrei dalla scuola e le comunità dovettero provvedervi, ma in quelle scuole l’ebraismo si riduceva a due ore settimanali di religione. La sacralità di una scuola supera quella di una sinagoga, ma deve essere una scuola dove si insegna e si studia Torà.
    La scuola ebraica serve per trasmettere la nostra cultura, la nostra tradizione, non solo le conoscenze ma il corretto comportamento secondo la Torà. È lo strumento fondamentale di continuità e crescita. L’ebraismo può vantarsi di aver introdotto già nel primo secolo un sistema di educazione pubblica capillare per tutti i bambini. L’istruzione per tutti è stato da sempre un dovere per il singolo e le istituzioni comunitarie.
    Dante Lattes, che fu un importante guida dell’ebraismo italiano nello scorso secolo, si dedicò particolarmente all’istruzione. Suo è un motto che guidò tutto il suo impegno: “ancora una classe, ancora un banco, ancora un maestro, ancora un libro”.

    Il periodo che stiamo vivendo è difficile per Israele e per gli ebrei di tutti il mondo. Non c’è solo l’attacco agli ebrei accusati di ogni infamia, con vocaboli nuovi che non sto qui a ripetere, che ripropongono in forma nuova accuse ancestrali, c’è anche l’attacco alla cultura e alla tradizione ebraica. La demonizzazione della Torà. E a questo bisogna dare una risposta virtuosa. Continuare a studiare e a insegnare. Vorrei dare una cattiva notizia ai nostri accusatori. Nelle nostre scuole si studia Torà. Dove per Torà si intende anche il Sefer waiqrà, il Levitico, quello che prescrive di amare il prossimo tuo come te stesso e che giornalisti che non l’hanno mai letto citano come fonte della cattiveria ebraica.
    Nelle nostre scuole ci sono i bambini e le bambone e i ragazzi e le ragazze, le insegnanti e gli insegnanti, i rabbini. Tra le cose poco piacevoli che abbiamo ascoltato, proprio la scorsa settimana, la voce religiosa più autorevole ha detto queste parole: “C’era un’epoca anticamente in cui i bambini essendo “non ancora uomini” davano fastidio agli adulti. Accadeva anche ai tempi di Cristo con i rabbini che mal tolleravano la loro presenza disturbatrice del loro ministero”.

    Come si risponde virtuosamente a questi confronti? Eccoli qui davanti a voi i bambini e eccoli qui i rabbini. Siamo qui per continuare un impegno di millenni. “Ancora una classe, ancora un banco, ancora un maestro, ancora un libro”.

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