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    ROMA EBRAICA

    Le memorie personali e collettive del libro “Dal buio del Novecento” di Umberto Gentiloni Silveri e Stefano Palermo

    Un incontro ricco di analisi e riflessioni, tra vicende personali e storia nazionale: sono stati tanti gli spunti offerti dalla presentazione del libro Dal buio del Novecento: Diari e Memorie di Ebrei Italiani di Fronte alla Shoah, scritto dagli storici Umberto Gentiloni Silveri e Stefano Palermo per Il Mulino, che si è svolta alla Fondazione Museo della Shoah.

    L’opera raccoglie una selezione di diari di ebrei italiani, offrendo uno spunto prezioso per esplorare le loro esperienze durante la persecuzione nazifascista e le loro vite nel dopoguerra.

    “Nella lettura di questo piccolo libro c’è la grande storia del Novecento e del nostro popolo”, ha detto nei saluti istituzionali Antonella Di Castro, Vicepresidente e Assessore alla Cultura della Comunità Ebraica di Roma, sottolineando l’importanza di questo libro per la memoria storica.

    La parola è poi passata a Mario Venezia, Presidente della Fondazione Museo della Shoah, che ha aperto il suo intervento condannando l’ennesimo atto di vandalismo contro il murales dedicato a Edith Bruck a Milano. “C’è stato un ulteriore episodio di violenza a Milano al murales di Edith Bruck. È un grave fatto, perché non si manca solo di rispetto ai racconti dei sopravvissuti, ma anche a tutti i giovani che li sostengono”, ha affermato Venezia.

    L’evento ha visto la partecipazione di Micol Pavoncello, che ha letto alcuni passaggi significativi dal libro, permettendo al pubblico di immergersi nei racconti dei diari. A moderare Serena Di Nepi, professoressa di storia moderna all’Università La Sapienza di Roma, che ha definito il libro come “un’opera polifonica e ricca”, capace di raccogliere i momenti salienti della storia ebraica in Italia. “Questo libro non si limita a raccontare la guerra, ma prosegue nel dopoguerra, restituendo un racconto più ampio e profondo della storia del nostro popolo”, ha aggiunto la professoressa.

    “Gli autori offrono ai lettori la vita di prima, restituendo una visione della storia che non si ferma alla fine della guerra, ma prosegue anche nel dopoguerra. Un tema fondamentale è quello della verità: il diario ha una forza narrativa che lo distingue dalle altre forme di racconto”, ha detto il professor Camillo Brezzi, direttore scientifico della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, che ha apprezzato l’approccio degli autori sottolineando l’importanza di riportare le storie raccontate in modo accurato.

    “Le memorie provenienti dagli archivi sono spesso memorie senza storia, che non sono state raccontate in un romanzo o in un film. Tuttavia, in questo libro, queste storie vengono raccontate con grande rispetto. Leggendo queste testimonianze, il mio pensiero è andato all’antisemitismo di oggi: non bisogna far emergere il peggio dalle persone, come avvenne durante la Shoah. È fondamentale che oggi riconosciamo e combattiamo ogni forma di odio e discriminazione”, ha affermato nel suo intervento Milena Santerini, deputata impegnata da sempre nella lotta contro l’antisemitismo.

    La parola è poi passata agli autori del libro, il professore Umberto Gentiloni Silveri e il professor Stefano Palermo, che hanno spiegato il loro approccio alla raccolta e presentazione dei diari. Gentiloni Silveri ha sottolineato come la prospettiva del lungo periodo, che non si ferma esclusivamente al racconto della guerra, permetta di restituire un quadro più completo della presenza ebraica nella storia italiana. “La scrittura è una confidente, un luogo dove si possono esprimere pensieri che in quel momento storico non erano condivisibili pubblicamente”, ha spiegato Gentiloni Silveri. “Il diario rappresenta una fonte fondamentale, ma con un approccio diverso. Nella nostra opera, ci siamo limitati a cucire un percorso, lasciando parlare gli autori dei diari attraverso le loro parole”, ha aggiunto il professor Stefano Palermo.

    Il libro, dunque, si propone di essere non solo uno strumento di memoria, ma anche un monito per le future generazioni, in un’epoca in cui si rischia di dimenticare le atrocità del passato.

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