Saluto e ringrazio il Capo dello Stato, che ci onora della sua presenza in una giornata così significativa per la nostra Comunità, per il nostro Paese e per la città di Roma, di cui siamo cittadini da oltre duemila anni.
Noi siamo, Presidente, i bené Romì, i “figli di Roma”.
Orgogliosamente italiani e orgogliosamente ebrei.
Non è la prima volta che il Presidente Mattarella ci testimonia la sua vicinanza. Ricordiamo la sua partecipazione proprio qui, nel Tempio Maggiore, a quarant’anni dall’attentato del commando palestinese in cui venne ucciso il piccolo Stefano Gaj Taché.
La visita del Presidente fu un momento di grande commozione. La conferma di un percorso coerente, iniziato dal Capo dello Stato dal giorno del suo insediamento nel febbraio 2015, quando evocò “il prezzo dell’odio e dell’intolleranza” e citò un nome, uno solo.
Quello di Stefano Taché, “ucciso – disse – nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre 1982”.
E pronunciò la frase che ci ha toccato il cuore: “Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano”.
Scelse anche di fare la sua prima visita da Capo dello Stato alle Fosse Ardeatine:su 335 persone assassinate, 75 erano ebrei.
La nostra è una Comunità viva, vivace, che si nutre di tradizioni millenarie ma guarda al futuro: basta vedere il festoso entusiasmo dei nostri bambini, con i loro canti.
Questo Tempio è il simbolo dell’emancipazione degli ebrei di Roma -come ha detto in modo magistrale Maurizio Molinari – e della riconquista dei nostri diritti, e doveri, di cittadini. È il luogo in cui ci siamo riuniti per riaffermare la nostra volontà di esistere e resistere, la nostra resilienza durante le leggi razziali, la persecuzione nazifascista e l’occupazione. E anche dopo, attraverso gli anni e fino a oggi, tutte le volte che Israele è stato attaccato e si è dovuto difendere per non soccombere a chi voleva spazzarlo via dalle cartine geografiche, insieme a tutti gli ebrei.
Questo Tempio è il luogo in cui si esprime il nostro amore per la vita. Il luogo delle feste e dei matrimoni. I canti dei bambini che avete ascoltato sono gli stessi di quando venne inaugurato nel 1904, anche allora con un salmo.
La sua storia si intreccia in modo inestricabile con l’essenza della Comunità ebraica di Roma.
Ne è l’anima, come le scuole ebraiche ne sono il cuore pulsante.
Una settimana fa, abbiamo festeggiato i cento anni della Scuola ebraica elementare costruita nel 1924 e intitolata al senatore Vittorio Polacco.
E voglio ringraziare, a nome dell’intera nostra Comunità, tutte le forze dell’ordine che vigilano sulla sicurezza dei nostri figli come fossero i propri, e che ci hanno consentito di continuare a svolgere la nostra normale vita ebraica.
Grazie al governo italiano, e alle istituzioni che ci manifestano ogni giorno solidarietà contro un antisemitismo che è in crescita dopo il 7 ottobre.
Un antisemitismo insieme antico e nuovo. Ignobile, sempre.
Che ha radici profonde. Che è quella particolare forma di odio per cui le donne vittime di violenza il 7 ottobre non sono riconosciute come tali.
Un pregiudizio che affonda in quello che la senatrice Liliana Segre, che saluto, chiama “il mare nero dell’indifferenza”. E che negalo spirito e la lettera della nostra Costituzione: l’articolo 3 (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”) e gli articoli 8 e 19, sulla libertà religiosa.
Grazie, Presidente, perché nel contrasto all’antisemitismo noi l’abbiamo sempre avuta al nostro fianco, come quando ha sottolineato, nel Giorno della Memoria del 2016, che l’antisemitismo si può fare “schermo di forme di antisionismo” e non è mai “completamente debellato”.
Siamo sicuri di poter contare sul baluardo di diritto e giustizia da lei rappresentato, a tutela dei valori e princìpi su cui si reggono la nostra amata Repubblica e la nostra – altrettanto amata – democrazia.