Skip to main content

Ultimo numero Novembre – Dicembre 2024

Scarica il Lunario 5785

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    La testimonianza di Mirella Fiorentini per Alberto Zapponini “Giusto tra le Nazioni”

    Riportiamo di seguito la testimonianza di Mirella Fiorentini come richiesta al Memoriale della Shoah di Gerusalemme, Yad Vashem, di conferire l’onorificenza di Giusto tra le Nazione ad Alberto Zapponini.

     

    Mi chiamo Mirella Fiorentini, vedova Di Segni, sono nata a Roma il 2 settembre 1927 da Silvio Fiorentini e Ida Della Seta. Fin dalla nascita sono sempre vissuta a Roma.

     

    Ho frequentato le 5 classi delle scuole elementari presso la scuola pubblica Umberto I.

     

    Mio padre, Silvio Fiorentini, laureatosi in Ingegneria al Politecnico di Torino, dopo svariate attività lavorative, negli anni ’20 divenne direttore del Molino Cerere a Roma. Negli anni ‘30 fu impiegato presso la “Guida Monaci”,  “Guida  scientifica artistica e commerciale della città di Roma”, allora diretta dal Commendator Alberto Zapponini, con il quale strinse un forte legame di stima e di amicizia che perdurò anche negli anni successivi.  In seguito, sempre negli anni ’30,  lavorò presso la Confederazione Nazionale Fascista Mugnai, Pastai, Risieri e Trebbiatori (ente parastatale).

     

    Nell’autunno del 1938, in seguito all’emanazione delle leggi fasciste antiebraiche, mio padre venne licenziato dalla suddetta Confederazione e dovette ingegnarsi a svolgere autonomamente lavori inerenti le sue competenze.

     

    In conseguenza delle stesse leggi io stessa, pur avendo superato l’esame di ammissione, non potei iscrivermi al Liceo–ginnasio statale G. Mamiani e dall’autunno 1938 fino a giugno 1943 ho frequentato le scuole ebraiche istituite dalla Comunità Ebraica per i ragazzi espulsi dalle scuole pubbliche. Dato che si pagava una retta,  i miei genitori dovettero affrontare un pesante sacrificio economico.

     

    Nel settembre 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre e la conseguente occupazione tedesca, in seguito alla richiesta agli ebrei romani di 50 kg di oro da parte dei nazisti (che furono poi consegnati), mio padre capì che  eravamo in pericolo e decise di andare via dalla  casa di Via Avezzana, nel quartiere Prati,  ritenendo opportuno trovare un nascondiglio. Mio padre si rivolse al suo amico Alberto Zapponini che con grande generosità mise a nostra disposizione due stanze all’interno degli uffici della “Guida Monaci” in Via Francesco Crispi, 10. Nei mesi successivi ci procurammo dei falsi documenti d’identità. Mio padre, mia madre, mio fratello Fausto, la sorella di mio padre, Ada, che viveva con noi, ed io ci sistemammo quindi nelle due stanze. Approntammo dei letti di fortuna fatti con  vecchie casse di legno piene di  carte sulle quali erano appoggiati i lunghi sportelli  delle finestre. Sugli sportelli di ciascun letto c’era un materasso a una piazza. In un letto dormivano i miei genitori, nell’altro mia zia ed io. Mio fratello dormiva nell’altra stanza che fungeva da soggiorno; lì avevamo un piccolo fornello elettrico. Quando c’era la corrente elettrica, che spesso mancava,  mia madre cucinava quel poco che  passavano le razioni. Il cibo era sempre scarso, e soffrivamo molto la fame.

     

    L’ufficio era aperto  solo di mattina e aveva una pianta a “L”. Sul lato lungo della “L” c’era un corridoio sul quale si aprivano le stanze degli impiegati; in fondo al corridoio c’era l’unico bagno dell’appartamento. Noi vivevamo nel lato corto della “L”, separato da una porta, ma usufruivamo del bagno. Pertanto ogni mattina dovevamo usarlo e metterlo in ordine, senza lasciare nostre tracce, prima che aprisse l’ufficio e arrivassero gli impiegati,  e comunque usarlo quando loro erano assenti.  Rischiavamo di essere scoperti e denunciati  ma durante tutto il periodo, oltre alla protezione del Commendator Zapponini che aveva rapporti quotidiani con mio padre, anche gli impiegati e il portiere dello stabile mantennero il segreto sulle nostre identità nonostante i gravi rischi che correvano proteggendo una famiglia di ebrei.  Da due impiegate in particolare ricevemmo gesti di solidarietà.

     

    Vivevamo praticamente isolati, con scarsissimi contatti con i parenti, uscivamo solo per necessità, rischiando di essere arrestati durante rastrellamenti o per spiate.

     

    Il 16 ottobre, dopo aver saputo della razzia nel ghetto, andammo a cercare i nonni Della Seta che abitavano in Via Arenula: la portiera ci informò che erano stati presi dai tedeschi. Quello stesso giorno furono presi altri sette membri della famiglia Fiorentini. Di loro non sapemmo più nulla, e vivemmo nell’angoscia e nella preoccupazione per la loro sorte.

     

    Dopo qualche mese mia zia Ada andò via dal rifugio della “Guida Monaci” e  trovò ospitalità in casa di amici cattolici.

     

    Nei primi mesi del ’44 mio fratello trovò un’altra sistemazione, ritenuta  meno rischiosa per un ragazzo come lui, nell’ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina.

     

    Il momento più drammatico fu il 23 marzo 1944, giorno dell’attentato a via Rasella da parte di un gruppo partigiano. Io ero andata a portare il pranzo a mio fratello all’ospedale sulla via del ritorno sentii un forte boato. Arrivata a piazza Fontana di Trevi, nei pressi del nostro rifugio, seppi che c’era stato un attentato a un drappello di soldati tedeschi. Via del Tritone era deserta ma le strade di accesso erano presidiate da soldati tedeschi armati. Con grande incoscienza attraversai di corsa via del Tritone   e per strade secondarie riuscii a raggiungere Via Francesco Crispi senza essere fermata. Trovai mia madre in preda alla paura e preoccupazione.

     

    I miei genitori ed io rimanemmo negli uffici della Guida Monaci fino a dopo la liberazione di Roma nel giugno 1944. Il rapporto di amicizia tra la mia famiglia e quella del Commendator Zapponini è proseguito negli anni successivi.

     

    Nei suoi confronti la mia famiglia ha sempre provato un sentimento di riconoscenza:  il Commendator Zappinini ci ha aiutati perchè era molto generoso di natura. So che era molto religioso e faceva opere di beneficenza,  in modo anonimo. Dopo la morte del Commendator Zapponini non avevo più avuto rapporti con la sua famiglia.  Finora non avevo fatto  una richiesta di riconoscimento come Giusto tra le Nazioni perché non sapevo come rintracciare i discendenti.

     

    Recentemente, grazie all’aiuto di mio genero, sono riuscita a rintracciarli su Facebook. Li ho cercati per adempiere a un mio intimo sentimento di riconoscenza verso il loro nonno e bisnonno, dato che sono l’unica ancora in vita tra le persone da lui salvate. Per tale ragione vorrei che il Commendator  Alberto Zapponini venisse riconosciuto come Giusto tra le  Nazioni.

    CONDIVIDI SU: