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    La qualità di una leadership. La lezione dell’ebraismo. Intervista a Rav Riccardo Shemuel Di Segni

    Il tema della leadership ha
    profonde radici nell’ebraismo, con riferimenti sin dai tempi più remoti e
    numerosi riferimenti biblici. I valori e i principi a cui si deve fare
    riferimento sono costanti nel tempo e si possono adattare ai diversi contesti.
    Su questo tema Shalom ha intervistato Rav Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di
    Roma.

    Quali strumenti ci offre
    l’ebraismo per affrontare le sfide che si rinnovano in ogni epoca? Quali sono i
    valori cardine che possono ispirare un leader secondo l’ebraismo?

    La tradizione ebraica ha
    affrontato questo problema fin dall’inizio della sua storia, e stiamo a circa
    35 secoli fa. Volendo riassumere in poche parole essenziali, ciò che si
    richiede a un leader è coscienza dell’importanza del suo ruolo come prosecutore
    di una storia, custode e trasmettitore, responsabilità, dedizione, onestà,
    sensibilità, competenza, e un sano equilibrio tra il rispetto a lui dovuto come
    leader e il divieto che ha di montarsi la testa.

    C’è un passo o una citazione
    della Torà o del Talmud che possono rappresentare un punto di riferimento a
    questo proposito?

    Ce ne sono tanti. Ne cito solo
    uno, la richiesta di Moshè per individuare il suo successore: “che il Signore,
    Dio degli spiriti di ogni creatura, nomini una persona sopra alla comunità, che
    esca davanti a loro e che venga davanti a loro, che li faccia uscire e che li
    faccia venire, e che la comunità del Signore non sia come un gregge che non ha
    pastore” (Bemidbar 27, 17-18).

    La leadership nelle comunità
    ebraiche si divide tra i compiti “politici” di una dirigenza comunitaria e il
    ruolo spirituale del rabbinato: come devono essere interpretati i due diversi
    ruoli?

    Sono entrambi necessari e la
    divisione dei “poteri” è essenziale per una sana dialettica. Moshè ha incarnato
    in un’unica persona il ruolo di re, di sacerdote e di guida spirituale, ma
    questa fusione è durata poco. Poi c’è stato il periodo dei re, dei sacerdoti e
    dei profeti. Da molti secoli la polarizzazione è binaria, e spesso si sente la
    mancanza di una voce critica ispirata, “profetica”. Non si può negare che
    spesso invece della sana dialettica c’è uno scontro tra idee e programmi
    differenti, di tentativi di prevalenza. A volte giocano i caratteri, a volte le
    ideologie.

    Le peculiarità di questo
    attuale momento storico quali priorità pongono per una leadership ebraica
    rispetto ad altri periodi?

    Ogni momento della storia ebraica
    e ogni luogo ha i suoi problemi. Quello che è importante è capire le priorità e
    le urgenze ed essere sempre pronti a situazioni di emergenza. Purtroppo vedo
    che non c’è una coscienza forte delle priorità e dei modi di gestirla, e che si
    va appresso a influssi culturali esterni e estranei, che non ci aiutano.

    La Comunità di Roma si
    appresta ad andare al voto: a quali principi dovrebbe ispirarsi la prossima
    leadership comunitaria e come si deve lavorare per costruire la leadership del
    futuro, in un contesto di calo demografico generalizzato a cui la nostra
    comunità non fa eccezione?

    Il quadro elettorale, come appare
    dalle liste proposte, rivela un dato confortante, quello della disponibilità di
    volti nuovi e di giovani (anagraficamente o nello spirito) disposti a mettersi
    a disposizione. Questo vuol dire che si è creato almeno un bacino di
    volontariato se non proprio una scuola di leadership. Al di là e alla fine
    della campagna elettorale con le sue inevitabili polemiche –che spero siano
    virtuose e non distruttive – bisognerà mettere la nuova direzione comunitaria
    di fronte ai problemi reali, e quello demografico che lei cita è tra i più
    importanti, tanto grave quanto difficile da risolvere.

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