Inaugurata a ridosso del Giorno della memoria la mostra Le parole dell’odio. Gli ebrei romani venduti ai nazisti, un progetto culturale della Comunità Ebraica di Roma e della Fondazione Museo della Shoah che si propone come punto di partenza per riflettere sul ruolo dei delatori durante l’occupazione nazifascista di Roma. Si tratta di un tema estremamente doloroso per la storia della Capitale, che oltre alle famigerate bande vide coinvolti anche alcuni cittadini italiani che nei mesi successivi al 16 ottobre 1943 denunciarono altri italiani in quanto ebrei. Nella mostra emergono i profili dei delatori, i metodi da loro usati e il fine ultimo delle denunce (spesso, ma non solo, per denaro), nonché le responsabilità che furono maggiori rispetto a quanto finora credessimo. Erano persone comuni, amici, vicini di casa, conoscenti e colleghi, che si trasformarono in collaborazionisti e delatori e assunsero un ruolo determinante – così come chi assistette nel silenzio e nell’indifferenza – nella persecuzione antiebraica.
La mostra, allestita al primo piano della Casina dei Vallati, si struttura in due tempi con un percorso installativo ideato dal Centro di Cultura Ebraica. All’entrata l’esposizione di alcuni documenti originali, accompagnati da pannelli didattici. Si prosegue in una stanza multisensoriale dove il pubblico ha modo di ascoltare le parole di chi fece ritorno ma anche le parole dell’odio che portarono alla morte centinaia di ebrei romani. A conclusione di questo percorso, il pubblico prende coscienza che ciò che è stato non è accaduto solo per mano di un disegno preciso organizzato dall’alto e volto alla “soluzione finale”, ma fu reso possibile anche a causa di quei civili che consegnarono nelle mani dei nazisti altri cittadini innocenti, la cui unica colpa era quella di essere ebrei.
L’evento di inaugurazione ha coinvolto diverse figure istituzionali e rappresentanti della comunità ebraica romana. Nei vari discorsi è stata evidenziata l’importanza di preservare il valore della memoria, specialmente in questa fase. Il rabbino capo di Roma Rav Riccardo di Segni ha sottolineato come la Shoah sia “una pagina molto oscura spesso rimossa e quasi cancellata dalla storia umana, generata da una combinazione di eventi malvagi”.
Il Presidente della Comunità Victor Fadlun, evocando anche la strage del 7 ottobre, ha affermato che “Le parole possono uccidere. Si leggeva ‘ebrei insetti,’ ‘vampiri della società,’ ‘formiche rosse’. Anni dopo, una testimonianza di un ostaggio israeliano a Gaza, rilasciato da Hamas, descrive come le donne catturate siano state vestite come bambole e sfruttate come schiave sessuali. Come se, per compiere certi atti, fosse necessaria la disumanizzazione, poiché sono così atroci e violenti da poter essere compiuti su un essere umano”.
Il Presidente della Fondazione del Museo della Shoah Mario Venezia ha ringraziato le istituzioni “che ci sostengono, e con le quali vi è un continuo scambio.” L’antidoto contro l’antisemitismo, secondo il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano è il dovere della memoria e della cultura che “va portata ovunque affinché faccia crescere le persone e le allontani dalla banalità del male. La cultura italiana è impregnata di cultura ebraica, questo lo dobbiamo ricordare”. Miguel Gotor, Assessore alla Cultura del Comune di Roma ha poi invitato alla riflessione: “Dobbiamo evitare l’amnesia storica e prendere coscienza che i tragici eventi riguardano anche gli italiani, anche i cosiddetti ‘bravi italiani’”.
La mostra Le parole dell’odio. Gli ebrei romani venduti ai nazisti è organizzata dalla Comunità Ebraica di Roma – Centro di Cultura Ebraica e Dibac, dalla Fondazione Museo della Shoah, dalla Fondazione per il Museo Ebraico di Roma, con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale nell’ambito di Memoria Genera Futuro 2024. I curatori sono Amedeo Osti Guerrazzi e Giorgia Calò; l’organizzazione e il coordinamento sono stati possibili grazie al supporto di David Di Consiglio e Micol Temin. La mostra sarà aperta al pubblico presso la Casina dei Vallati dal 25 gennaio al 15 febbraio 2024.