“Questa comunità è la vostra famiglia, è legata col cuore per sempre a voi”. Con queste parole si è rivolto il presidente della Comunità Ebraica di Roma Victor Fadlun a Ilan Regev e a suo figlio Itay, rapito il 7 ottobre e rimasto ostaggio di Hamas fino al 29 novembre, quando è tornato a casa durante la tregua tra Hamas e Israele.
Questo incontro ha rappresentato un momento estremamente toccante per la comunità ebraica romana, che ha aperto il Tempio Spagnolo per abbracciare padre e figlio, oltre ad Agam Yosefson, una delle sopravvissute al Nova Festival.
“Sono molto emozionato di tornare qui ancora una volta” ha affermato Ilan, che ha ricordato la prima volta che ha visitato la Capitale, a metà ottobre, in un momento estremamente importante per lui che lo ha segnato emotivamente. “La vostra accoglienza mi ha colpito” ha sottolineato mentre raccontava uno dei momenti più toccanti di quella sera: la condivisione della registrazione della chiamata della figlia Maya pochi istanti prima che venisse presa dai terroristi di Hamas.
“Ho sentito il vostro abbraccio e il cuore spezzato da qual momento” ha proseguito. “Grazie a D-o sono avvenuti diversi miracoli” ha detto Ilan Regev, che ha aggiunto: “Chi crede non ha paura”.
Poi ha raccontato altri dettagli di quel tragico giorno in cui ha visto il mondo crollargli addosso, ricordando due ragazzi che sono ancora ostaggio di Hamas: Ori Danino e Omer Shem Tov.
Poi arrivato il momento di Itay Regev, che ha ripercorso quei drammatici momenti. “Ho avuto pensieri brutti mentre ero nelle mani di Hamas. Ho pensato di suicidarmi” ha affermato Itay, che poi si è detto: “Se sono riuscito a sopravvivere il 7 ottobre, allora riuscirò a superare anche tutto questo”, ha continuato sottolineando: “D-o ha salvato me e Maya quel giorno, vuole che io viva”.
Itay ha inoltre voluto ricordare chi lo aiutato per più di 52 giorni, Omer, per il quale lotta ogni gironi affinché torni a casa.
“Io non potrò tornare alla mia vita normale finché non saranno a casa tutti gli ostaggi” ha sottolineato.
“Tante persone mi chiedono se da quando sono tornato vado da uno psicologo o da altri per ricevere aiuto, ma non credo mi aiuteranno – ha proseguito – La medicina per chi è riuscito a tornare a casa è solamente una: vedere i nostri cari e chi si trova in questa stanza, grazie”.
Poi è stato il turno di Agam, una delle sopravvissute al Nova Festival. Una testimonianza estremamente dettagliata e cruenta, che ha toccato emotivamente tutti i presenti. La ragazza, mentre ripercorreva i momenti più tragici di quel terribile giorno, ha voluto mostrare un selfie che ha scattato mentre si stava nascondendo dai terroristi.
La mattinata si è poi conclusa con il canto dell’Hatikwa, l’inno dello Stato ebraico, che ha sancito la solennità dell’incontro.