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    Il ricordo degli oltre 300 prigionieri deportati da Regina Coeli a Mauthausen nel gennaio del ‘44

    Roma. 4 gennaio 1944: oltre 300 prigionieri vengono deportati da Regina Coeli al campo di concentramento di Mauthausen. In occasione del settantanovesimo anniversario, come ogni anno, presso il Muro del Deportato del Cimitero del Verano, si è svolta la commemorazione in ricordo di questi deportati, tra cui 13 erano di religione ebraica. Assieme al rastrellamento del Ghetto di Roma del 16 ottobre e del Quadraro avvenuta il 17 aprile 1944, il 4 gennaio è una delle tre date che ricorda una deportazione di massa a Roma.

     

    È stata posta una corona d’alloro sul Muro dei Deportati alla presenza delle istituzioni. Per la Comunità Ebraica di Roma presenti la Presidente Ruth Dureghello e l’Assessore alla Memoria Massimo Finzi; Livia Ottolenghi, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane; per l’ANED – Associazione Nazionale Ex Deportati hanno partecipato il Presidente Aldo Pavia, il vicepresidente Andrea Di Veroli, il delegato di Savona e Imperia Simone Falco; Miguel Gotor Assessore alla cultura di Roma Capitale; Gianni Focacci, figlio del deportato Guido; il Presidente dell’ANPI provinciale Fabrizio De Santis; l’ex-partigiano Mario Di Maio.

    Aldo Pavia, Presidente dell’ANED, Associazione Nazionale Ex-Deportati nei Campi Nazisti, ha raccontato a Shalom la vicenda storica. “I deportati sono stati più di 300, ma ancora oggi non se ne conosce il numero esatto. A Regina Coeli la documentazione riporta il numero 330, secondo la Questura di Roma invece partirono in 392, ma sono solo 257 i registrati all’arrivo a Mauthausen. Probabilmente, alcuni sono stati fucilati prima dell’arrivo e altri sono riusciti a scappare nei pressi di Bologna”. Ma non tutti. Infatti, Pavia ricorda la storia di un giovane ebreo che riuscì a fuggire e fu poi catturato e deportato a Birkenau. Durante i giorni di Natale, la polizia fascista deportò più di 200 detenuti tra ebrei e prigionieri politici. L’ordine era quello di arrestare duecento uomini: “Alcuni furono presi dalle strade perché l’ordine è che dovevano essere deportati 200 uomini. Quindi la polizia italiana ne arrestò 120 e usarono il casellario della polizia per cercare i sospettati di simpatie antifasciste”.

     

    Tra i prigionieri del carcere si ricordano diverse figure: Roberto Forti, esponente della resistenza romana e poi fondatore dell’ANED, i due fratelli Valenzano, nipoti di Badoglio, il Senatore della Repubblica Roberto D’Agostini, e i Collalti padre e figlio. Questi ultimi sono ricordati per aver nascosto armi per la lotta partigiana in un’officina di ciclisti. Alberto Mieli, deportato a Mauthausen, racconta in una testimonianza di aver assistito alla violenta punizione che le SS inflissero ai Collalti. I due riuscirono a sopravvivere, ma morirono poco dopo aver fatto ritorno dal campo di concentramento. L’officina dei Collalti è ancora oggi una meta della memoria storica antifascista.

     

    Questi sono solo alcuni dei nomi riportati sul Muro dei Deportati del Verano e molti ne mancano ancora. Sono circa mille i detenuti che non hanno trovato spazio nel Muro e Andrea Di Veroli, Vicepresidente dell’ANED, sta cercando di fare in modo che nessuno sia dimenticato.

     

    Come recita il Talmud, “Una persona viene dimenticata solo quando se ne dimentica il nome” e l’auspicio è che questo non avvenga.

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