Skip to main content

Ultimo numero Novembre – Dicembre 2024

Scarica il Lunario 5785

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    I 35 anni di Chanukkà a piazza Barberini: la libertà e l’orgoglio di essere ebrei

    Sono trascorsi 35 anni da quando fu accesa la prima candelina della grande chanukkià di Piazza Barberini a Roma. Un evento molto amato dalla comunità ebraica ma anche dai tanti cittadini e turisti curiosi che si trattengono per festeggiare insieme la festa delle luci. Quest’anno la prima candelina verrà accesa il 18 dicembre. Rav Shalom Hazan ci ha raccontato la storia di questa iniziativa.

     

    Come è nata l’idea di accendere la chanukkià a Piazza Barberini? 

    All’inizio degli anni Settanta, intorno al 1972, il Rebbe ha cominciato a parlare di come la festa di Chanukkà promuovesse l’osservanza dell’ebraismo usando eventi legati alla festività e alla stessa chanukkià. Nel 1974, un rabbino Chabad di Philadelphia organizzò l’accensione di una grande chanukkià in pubblico davanti all’Independence Hall, che è un considerato la culla degli Stati Uniti come nazione. La chanukkià esposta a Philadelphia era alta circa un metro e mezzo, e la sua accensione pubblica fu il primo evento di questo tipo registrato negli Stati Uniti. In seguito, nel 1975, il rabbino chabad dell’Università di San Francisco, in California, Rav Chaim Drizin, ideò il progetto di costruire e di accendere una grande chanukkià in pubblico – un’idea che piacque molto al Rebbe, tanto che iniziò a promuovere l’iniziativa tra i vari emissari del movimento chassidico nel mondo.

     

    E a Roma cosa accadde?

    Nel 1987, mio padre, Rav Itzchak Hazan, direttore dei Chabad a Roma, si informò sulla possibilità di fare una cosa di questo genere anche nella sua città. Si rivolse quindi a Rav Toaff chiedendogli una mano per ottenere i permessi e lo invitò a collaborare all’iniziativa. Rav Toaff appoggiò pienamente il progetto, e scrisse una lettera presentando mio padre al Consiglio comunale, chiedendo il loro supporto per organizzare l’iniziativa. Anche al Comune di Roma piacque molto l’idea. Mio padre pensò che Piazza Barberini potesse essere il posto più adatto, sia per la sua posizione centrale, nel cuore di Roma, che per il grande spazio aperto che offre – dove è possibile svolgere una cerimonia senza dover disturbare il traffico. Il comune diede i permessi necessari per costruire la grande chanukkià in mezzo alla piazza e da quel momento in poi il Comune di Roma ha sempre pienamente appoggiato tale iniziativa, al punto da considerarlo un appuntamento fisso e tipico della vita romana.

     

    Qual è l’importanza dell’iniziativa? 

    Il Rebbe voleva promuovere questa attività sia per coinvolgere le persone nelle mitzvot e avvicinarle di più al mondo della Torà, ma anche per la fierezza di sentirsi al sicuro nell’esprimere la propria identità ebraica nello spazio pubblico. Spesso noi ebrei, purtroppo, a causa delle vicissitudini che abbiamo affrontato nella storia, non vogliamo mettere troppo in mostra il nostro ebraismo. Siamo molto attaccati alle nostre tradizioni, ma per strada non sempre mettiamo in mostra il nostro essere ebrei.

    Quel primo anno, dopo la conclusione della cerimonia, quando ormai erano andati via tutti, mio padre notò un signore rimasto solo a fissare la chanukkià piangendo. Piangeva, piangeva con la kippà in testa. Malgrado mio padre non lo conoscesse, decise di avvicinarsi e gli chiese come andasse e perché fosse triste. Lui gli rispose che non era triste, ma che erano lacrime di gioia. Gli raccontò quindi la sua storia. Era sopravvissuto alla Shoah. Era stato preso dai tedeschi, riuscendo a fuggire prima di essere deportato. Disse che era la prima volta dai tempi della guerra che si trovava per strada e non dentro ad un tempio con la kippà in testa. “Sono qui con la kippà in testa e sono fiero di essere qui con la kippà in pubblico” disse. Quell’uomo era Angelo Di Porto z’’l, venuto a mancare pochi mesi fa. 

    È questo il significato più profondo dell’iniziativa di accendere la chanukkià in pubblico. Angelo Di Porto ha espresso un sentimento generale: non dobbiamo nascondere il nostro essere ebrei, possiamo anche farlo per strada ed esserne fieri.

     

    Come è stata accolta l’iniziativa dai cittadini romani?

    Questo evento è diventato subito molto formale anche per la collaborazione di Roma con una organizzazione internazionale come Chabad Lubavitch. Già dal primo anno, Piazza Barberini era piena di ebrei romani e tripolini, di non ebrei, curiosi e turisti. È diventato subito un appuntamento fisso. La chanukkià è un ambasciatore di luce per la cittadinanza perché il messaggio di illuminazione e dei pochi che possono essere forti contro molti sono alcuni dei temi di Chanukkà ribaditi dai rabbanim, ma anche dagli esponenti delle istituzioni che intervengono e sottolineano l’idea di essere lì per mostrare che nell’oscurità basta una piccola fiamma per illuminare. Si tratta di un tema comune a tutti, non solo al popolo ebraico.

    CONDIVIDI SU: