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    Gli ebrei romani e la cerimonia di insediamento dei pontefici – Un testo di Daniela Di Castro Z’’L

    Pubblichiamo di seguito alcuni estratti del contributo del Direttore del Museo Ebraico di Roma Daniela Di Castro Z”L tratto dal catalogo della mostra “Et Ecce Gaudium – Gli ebrei romani e la cerimonia di insediamento dei pontefici”, allestita in occasione della visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore nel gennaio del 2010.

     

    “Volendo la Santità di Nostro Signore Papa BENEDETTO XIV, felicemente Regnante, dopo mesi 8, e giorni 13 da che fu degnamente innalzato alla sublime, ed impareggiabile dignità di Vicario di Cristo in Terra, compiacere alla pubblica brama di vederlo prendere nella Sacrosanta Basilica di S. Gio. in Laterano, il solenne possesso, non solo della medesima, ma del Sagro Principato di tutta la Chiesa, a questa Santa Romana Sede assiso, stabilì il giorno di Domenica 30 dello scorso Aprile, per effettuarsene la funzione, che seguì, come si dirà, con indicibile consolazione de’ suoi amantissimi Sudditi, ed ammirazione de’ Popoli anche remoti, concorsi ad una tale solennità, ripromettendosi sì gli uni, che gli altri, lunga serie di felicità sotto il suo non men glorioso, che amorosissimo Governo.”

     

    Così il 6 maggio 1741 il Diario ordinario del Chracas, un foglio di notizie stampato a Roma, descriveva i preparativi per il “solenne Possesso” papale, al quale anche gli ebrei erano chiamati a contribuire. Il Possesso papale era l’ultimo atto delle cerimonie legate all’avvento del nuovo pontefice, dopo il Conclave e l’Incoronazione. Con questo rito il papa, in quanto Vescovo di Roma, usciva dalla sua residenza dal Vaticano, poi dal 1724 di regola dal Quirinale – e si recava ad insediarsi della sua chiesa cattedrale, San Giovanni in Laterano; contemporaneamente, come sovrano temporale, cavalcando al centro di uno sfarzoso corteo attraverso la Roma antica e monumentale prendeva possesso della città, in un rito augurale e di passaggio nel quale la storia di Roma e dei suoi antichi fasti si conciliava con quella della cristianità, con particolare riferimento a Costantino che aveva eretto le due basiliche collegate dalla processione. Durante il Medioevo la presa di possesso della città da parte del pontefice, Vicario di Cristo, veniva assimilata all’entrata di Gesù in Gerusalemme; inoltre, il percorso della processione, che in quel periodo si connotava anche come un rito a tratti violento e a volte cruento di assunzione del potere, era irto di peri coli, perché le fazioni rivali tentavano di bloccare il pontefice con l’intento di rendere invalida la sua ascesa al soglio. Con il Rinascimento la cerimonia si delineò anche come rinnovamento in senso cristiano dei trionfi degli imperatori romani, mentre in età barocca e nel Settecento a questa connotazione si aggiunsero elementi sempre più sfarzosi, con grande impiego di “apparati effimeri”, elementi di legno, cartapesta, cartone ed altri materiali poveri, concepiti per durare solo il tempo della cerimonia, ma che consentivano di ricostruire o decorare facciate di edifici, archi trionfali ed ogni sorta di scenografia, con un effetto di grande magnificenza dovuto anche al fatto che spesso queste decorazioni erano opera di insigni architetti ed artisti. Con l’Ottocento il rito si svuotò sempre di più dei suoi connotati di fasto, e venne radicalmente semplificato divenendo un percorso da compiere rapidamente, e quasi privatamente, non più a cavallo ma in carrozza. Gli ebrei erano coinvolti nelle cerimonie del Possesso papale fin dal Medio Evo, in quanto già in quel periodo erano e venivano considerati cittadini romani a tutti gli effetti: la loro presenza è infatti attestata in città fin dal II sec. a.e.v. Questa inclusione è dunque, in ogni epoca, un fondamentale certificato per la legittimazione degli ebrei all’interno della società romana. Tuttavia, l’incontro rituale degli ebrei con i pontefici in occasione del Possesso prese forme conseguenti ai termini dei loro rapporti: in primo luogo il fatto che il papa era non solo il capo spirituale della cristianità, ma anche sovrano temporale, ed erede degli imperatori romani che avevano concesso agli ebrei la cittadinanza romana. Vi era poi la questione del “popolo eletto”, una definizione biblica legata agli ebrei, che i cristiani consideravano revocata in favore degli stessi cristiani, il “verus Israel”, da quando gli ebrei non avevano riconosciuto il Messia in Gesù. In questo contesto gli ebrei incarnavano fisicamente la condizione di errore e di cecità, che il cristianesimo era chiamato a tollerare benignamente, ma anche a risanare.  È da sottolineare poi che la partecipazione degli ebrei ai Possessi avviene nella cornice di un rito, nel quale tutto è codificato, concordato e previsto, così da creare emozioni canalizzandole però in modo da renderle inoffensive, e svolgendo un copione secondo un simbolismo concepito per definire e per rendere pubblica la natura dei rapporti fra il Pontefice e la comunità ebraica di Roma. Il variare di quel rito nei secoli dà la misura del mutamento di questi rapporti.

    (Bernard Picart (1673-1733), Gli ebrei presentano il Pentateuco al Papa presso il Colosseo, incisione, 1725. Museo Ebraico di Roma)

    La prima testimonianza che vede gli ebrei romani acclamare l’elezione di un pontefice risale al 1119, per Callisto II. Non hanno un ruolo particolare, e festeggiano il pontefice insieme ai cristiani, mentre nel 1111 avevano atteso l’ingresso trionfale dell’imperatore Enrico IV come gruppo distinto. Nel 1143, però, l’insediamento di Celestino II comprende un rito destinato a durare fino all’inizio del Cinquecento, la rapraesentatio Legis, consistente nel fatto che gli ebrei portano davanti al pontefice un rotolo della Bibbia. Il significato iniziale di questo rito era di autopresentazione: in questo modo gli ebrei definivano loro stessi con fierezza come “popolo del libro” legato al Pentateuco. Il rotolo veniva recato anche nelle processioni in onore degli imperatori, come testimonia un disegno raffigurante il corteo trionfale di Enrico VII nel 1312, dove gli ebrei romani con il rotolo della Bibbia, nella rielaborazione dell’artista renano, prendono le fattezze dei loro correligionari tedeschi, caratterizzati dal cappello a punta che i romani invece non indossavano. Questa affermazione di orgoglio divenne motivo di umiliazione quando il rituale prevedeva uno scambio di battute fra gli ebrei e il pontefice. I primi chiedevano di confermare ed approvare la Legge contenuta nel libro, mentre il papa rispondeva che approvava la Legge, ma che l’interpretazione data dagli ebrei era vana e da condannare. L’incontro rituale fra il pontefice e gli ebrei avveniva nei pressi della Torre di Parione (ma nel 1447 a Monte Giordano), davanti alla folla già eccitata dal lancio di monete. Dalla possibilità di impadronirsi del Pentateuco adorno di preziosi tessuti derivavano tafferugli, che possono essere definiti anche come saccheggio rituale. Di conseguenza, dal Possesso di Innocenzo VIII nel 1484 la postazione assegnata agli ebrei venne spostata davanti a Castel Sant’Angelo: un luogo più sicuro perché fortificato e sede di una guarnigione, ma edificato sulla tomba di Adriano e di conseguenza carico di simboli negativi per gli ebrei, che da quell’imperatore erano stati aspramente combattuti fino al divieto di circoncisione. 

    (Bernard Picart (1673-1733), Gli ebrei presentano il Pentateuco al Papa presso il Colosseo, incisione, 1725. Museo Ebraico di Roma)

    E invece l’ultima testimonianza del rito con il quale gli ebrei offrono una Bibbia al papa riguarda l’elezione di Leone X nel 1513: “Confirmamus sed non consentimus”, rispose anche questo pontefice lasciando cadere il libro in terra e proseguendo il suo cammino. Più d’uno dei presenti avrà rilevato la differenza fra questo atteggiamento e quello di suo padre, Lorenzo il Magnifico, alla cui corte erano fioriti gli studi ebraici va detto che anche Leone X manifestò gli stessi interessi, e questo conferma come la rapraesentatio Legis seguisse anche nella risposta sprezzante del pontefice un rituale codificato e difficilmente modificabile. D’ora in poi, però, l’offerta rituale della Bibbia al papa scompare dalle cronache dei Possessi. Nel corso del Cinquecento la posizione degli ebrei a Roma si evolve rapidamente in peggio, e al rogo del Talmud nel 1553 segue, due anni dopo, l’istituzione del ghetto. Le fonti tacciono sul ruolo degli ebrei nei Possessi fino al 1590, quando per l’elezione di Gregorio XIV si richiede loro di affiggere sotto l’arco di Settimio Severo cartelli contenenti passi beneaugurali dalle Sacre Scritture, in ebraico con la traduzione latina. La novità dei cartelli con le iscrizioni ebraiche viene ripresa per il Possesso di Innocenzo X nel 1644, ma questa volta agli ebrei viene assegnata la porzione di percorso fra l’arco di Tito e il Colosseo. Nella nuova formula dei cartelli allestiti sulla via dopo l’arco di Tito, sullo sfondo di preziosi arazzi e tessuti, la partecipazione degli ebrei ai Possessi sarà mantenuta fino al 1775. L’affidamento agli ebrei del tratto di strada subito dopo l’arco di Tito non è casuale. Si trattava di un luogo umiliante, perché all’ombra del monumento sul quale è effigiata la riduzione degli ebrei in schiavitù dopo la distruzione del Santuario di Gerusalemme: un evento così traumatico, che gli ebrei romani si sono astenuti dal passare sotto il fornice dell’arco fino ad oggi, o quantomeno fino alla proclamazione dello Stato d’Israele nel 1948. Denso di memorie infamanti per gli ebrei è peraltro anche il Colosseo, al termine del settore riservato alle decorazioni ebraiche, perché lo si riteneva costruito con i proventi del bottino delle guerre giudaiche ed impiegando gli schiavi ebrei come manodopera, anche se la Chiesa ha sottolineato sempre piuttosto il ruolo di questo monumento come palcoscenico per il martirio dei cristiani. 

     

    La selezione degli estratti del testo è a cura di Michelle Zarfati

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