
Cerimonia toccante al Campidoglio in ricordo dell’eccidio delle Fosse ardeatine. Un lungo striscione con la scritta “Roma medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza non dimentica i 335 martiri delle Fosse Ardeatine” e con i nomi delle vittime della strage di 81 anni fa ha coperto l’intera scalinata. Musiche e letture hanno accompagnato la solenne cerimonia.
All’evento, promosso da Roma Capitale in collaborazione con Anfim, l’associazione nazionale delle famiglie italiane dei martiri, hanno preso parte il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, il Presidente dell’Anfim, Giuseppe Albertelli, l’assessore alla cultura di Roma Capitale, Massimiliano Smeriglio. Per la Comunità Ebraica di Roma presenti il Presidente Victor Fadlun e l’Assessore alla Memoria Daniele Regard.
“Questa cerimonia al ricordo e all’analisi affianca musica, poesia e il tentativo di entrare ancora di più nella memoria di quella pagina tragica che rischia di smarrire volti e nomi dei 335 che meritoriamente, anche oggi, sono state nominati e mostrati. Una ferita per la nostra città – ha spiegato Gualtieri – che ha unito nel dolore militari, esponenti della resistenza, ebrei ma anche cittadini comuni che in questa macabra contabilità furono aggiunti nella folle logica della rappresaglia. In una ferocia incredibile, che si cercò di occultare: furono scelte le Fosse Ardeatine per impedire la memoria”. “I fascisti – ha concluso il sindaco – furono complici attivi: diedero le liste, aiutarono a raggiungere il numero. Dobbiamo ricordare perché l’Italia ha scelto la strada della dittatura, del nazionalismo che poi ha portato all’alleanza con la Germania, alle leggi razziali, alla persecuzione dei prigionieri politici, alla partecipazione alla guerra e all’Olocausto. Fu terrorismo di Stato sui romani, colpiti da una cinica indifferenza che lascia senza fiato”.
“Fu una rappresaglia decisa a freddo, eseguita con metodo” ha sottolineato Fadlun, soffermandosi sui 75 ebrei uccisi nell’eccidio: “non finirono lì per una tragica coincidenza. Erano stati arrestati, schedati, umiliati, picchiati, interrogati, spesso torturati,in quanto ebrei. Non avevano nulla a che vedere con l’attentato di via Rasella. Furono portati alle Ardeatine perché incarnavano un’identità e una cittadinanza che doveva essere cancellata, estirpata, spenta. In quelle cave si tentò di annientare delle vite. Ma anche una Storia, una presenza, un’appartenenza. Gli ebrei di Roma furono dichiarati nemici. E si volle colpirli a morte. Ma non si riuscì. Perché quella presenza, e l’orgoglio di quella identità e cittadinanza, è ancora qui. Più forte, più viva, più consapevole”.
Si è poi chiesto quale messaggio resti oggi di questa tragica esperienza: “ Non è una domanda che riguarda solo il passato. Riguarda questo tempo. Perché il male non è rimasto chiuso nelle cave. È tornato. Lo si vede nei simboli riscritti, nelle parole che negano, nei sorrisi complici, nella stanchezza verso la memoria. Nell’antisemitismo che riaffiora, mascherandosi da antisionismo, non più solo nei sotterranei ma nello spazio pubblico, nei gesti quotidiani. Una normalizzazione dell’odio che inquieta. Per questo la memoria non è mero esercizio del ricordo. È memoria come difesa della verità. Che impone anzitutto di riconoscerla e non essere indifferenti. Le Fosse Ardeatine chiedono una coscienza civile e il coraggio di fare delle scelte. Chiedono verità e memoria attiva. Non solo per chi fu ucciso allora, ma per tutti noi, oggi” ha concluso Fadlun.