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    Elezioni UCEI: “Meno slogan e più atti concreti” – Intervista a Ruth Dureghello, capolista di “Per Israele”

    Domenica
    17 ottobre gli ebrei italiani voteranno per il rinnovo del Consiglio
    dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Shalom ha intervistato i
    capilista delle 5 liste che si presentano a Roma. Ecco di seguito l’intervista
    a Ruth Dureghello, capolista di “Per Israele”.

    In
    che direzione sta andando l’ebraismo italiano? Quali sono le questioni più
    concrete ed imminenti da affrontare per l’Unione delle Comunità Ebraiche
    Italiane?

    Sta
    a noi delineare la direzione che l’ebraismo italiano deve prendere. Affrontare
    il calo demografico e interrogarsi sulle soluzioni che servono a impedire la
    scomparsa di alcune realtà ebraiche storiche e la diminuzione di vita ebraica,
    è una priorità non più rimandabile. Per questo occorre cambiare registro e
    trovare finalmente un’unità d’intenti affinché l’UCEI possa finalmente
    diventare lo strumento per aiutare tutte le Comunità ebraiche italiane. Meno
    slogan e più supporto per mantenere una vitalità ebraica fatta innanzitutto di
    sinagoghe e scuole ebraiche aperte.

    Quanto
    pensate che conti l’ebraismo ortodosso nella conservazione dell’identità
    bimillenaria dell’ebraismo italiano?

    L’ebraismo
    italiano si riconosce nell’ortodossia e nonostante qualcuno sollevi il tema per
    dividerci, oggi dovremmo preoccuparci di altro. Un’identità ebraica forte è
    quello che ci permette di essere riconosciuti e rispettati e garantisce futuro
    alle nostre Comunità; se non siamo noi a difendere la nostra tradizione, perché
    dovrebbero farlo gli altri?  Noi ci batteremo affinché il nuovo Consiglio
    si occupi meno di questioni marginali e più di problemi concreti. Mentre si
    discute su questo in Consiglio Ucei tanti giovani fanno fatica a trovare un
    buon lavoro e a creare una famiglia ebraica e in molti iscritti hanno problemi
    ad arrivare a fine mese. Ricordiamoci delle giuste priorità.

    Sul
    fronte dei giovani, dalle grandi comunità partono ogni anno sempre più ragazzi
    per Israele, dove intraprendono nuovi percorsi di formazione e anche
    professionali. Come si possono aiutare i giovani delle comunità in cui non ci
    sono scuole ebraiche ad acquisire conoscenze che possano agevolare esperienze
    in Israele? E come si possono aiutare quelli che restano a vivere in Italia?

    L’UCEI
    che abbiamo in mente dovrebbe ripensare se stessa. I programmi di formazione
    sono stati fallimentari e non hanno aiutato i giovani come avrebbero dovuto
    nonostante le grandi risorse impiegate. Non si può pensare che basti un corso
    per insegnare a scrivere un curriculum per aver aiutato i ragazzi. È evidente
    l’impegno dell’Ugei che in questi ultimi anni, grazie ai suoi consiglieri, è
    cresciuta in termini di comunicazione programmi ed iniziative, ma oggi serve
    fornire ai ragazzi le competenze che le università non danno e che sono sempre
    più necessarie nel mondo del lavoro, soprattutto risorse che possano destinare
    alle proprie esigenze. Serve coraggio e non autoreferenzialità.  Per
    quanto riguarda Israele, è da sempre un’esperienza che promuoviamo a Roma,
    fuori e dentro le scuole ebraiche. Possiamo mettere a disposizione la nostra
    esperienza di relazione non solo con le università israeliane e con i centri di
    volontariato ma soprattutto con l’Agenzia ebraica e Masa per aiutare anche i
    giovani di altre Comunità ad intraprendere questa avventura.

    Come
    portare scuole ebraiche e Bet Haknesset nelle città italiane dove non ci sono?

    La
    condivisione e la complicità, che certamente esiste fra singole comunità e che
    posso testimoniare grazie alla collaborazione con i Presidenti ed i
    rappresentanti di moltissime di queste, sempre con grande entusiasmo
    soprattutto in ambito museale e culturale, deve diventare modello anche per
    scuole e Templi. A causa della pandemia abbiamo vissuto la rivoluzione della
    Dad. Le scuole ebraiche di Roma sono pronte per una rivoluzione digitale che
    permetta a chi vive in un’altra città a frequentare le lezioni delle materie
    ebraiche sin dai primi anni per poi permettere di passare qualche mese qui
    durante il liceo. Dobbiamo sfruttare le occasioni per migliorare il network tra
    comunità, siamo tutti parte di una grande famiglia. Per quanto riguarda le
    sinagoghe credo che il problema dipenda anche dalla destinazione delle risorse.
    Le piccole comunità vanno aiutate economicamente a trovare rabbanim e a
    stimolare gli studenti ebrei che vivono in loco a frequentare la vita
    comunitaria ed a formarsi.

    Cosa
    può fare Roma per le piccole comunità? E cosa vorreste importare del modello
    Roma nelle altre realtà ebraiche italiane?

    Abbiamo
    bisogno reciprocamente l’uno dell’altro. Va superata la logica di questi anni
    che non ha aiutato a lavorare bene assieme. Come già detto è una logica che non
    ci appartiene non solo per esperienza diretta in termini di rapporti e
    progettualità con Milano, Firenze, Napoli, Livorno e tante altre ma soprattutto
    perché divide ed allontana indebolendo tutti. Mettendo a disposizione
    l’esperienza romana, come già accade per molte questioni, possiamo crescere
    tutti e nella lista Per Israele ci sono persone che si candidano a Roma, ma che
    vogliono aiutare l’ebraismo italiano nel suo insieme. Solamente assieme
    possiamo farcela e ciascuno porterà parte delle best practice della propria
    Comunità.

    In
    sintesi, quali sono le vostre proposte concrete per gli ebrei italiani?

    Ripensare
    la struttura dell’UCEI che è poco al passo con i tempi per renderla in grado di
    aiutare tutte le Comunità è il primo punto. Questo permetterà di rendere
    sostenibile un lavoro su altri temi fondamentali oltre a quanto già detto; una
    shechità per la carne che permetta a tutti di mangiare kasher a prezzi
    contenuti e con certificazione adeguata. Attenzione a welfare e sociale,
    certamente, ma anche alla salute, anche con sistemi di Telemedicina, perché
    l’esperienza della pandemia ci ha ricordato che non possiamo lasciare solo
    nessuno.  Mettere a rete le comunità per aiutare i più giovani ad
    affrontare il futuro. L’UCEI oggi spende troppo e spende male le sue risorse
    che potrebbero aiutare tutti gli ebrei italiani. Se ci sarà dato modo di lavorare
    vogliamo intervenire per modificare la comunicazione che porta ogni anno a una
    diminuzione dell’8×1000. Va ripensata perché quei fondi, la cui raccolta
    dipende sostanzialmente dalla comunicazione e dai progetti promossi dall’UCEI,
    sono essenziali per il futuro dell’ebraismo italiano.

     

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