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    Diritti e discriminazioni: gli ebrei ai tempi degli imperatori romani

    Gli abitanti di Roma si dividevano in: cittadini di pieno diritto, stranieri (peregrini) e schiavi, ed all’interno di ognuno di questi gruppi vi erano ebrei. Gli stranieri, o peregrini, erano uomini liberi privi di cittadinanza sottoposti a leggi speciali e dipendenti dal “Praetor Peregrinus”. I peregrini ebrei potevano acquistare la cittadinanza secondo la legislazione in vigore e tramandarla ai propri figli. Fino a quando vi era lo stato ebraico, molti ebrei facevano parte di quei peregrini a “cittadinanza riconosciuta” e, ai tempi di Cicerone, erano numerosi nelle assemblee ed avevano una forte influenza nei tribunali. I “Liberti”, invece, erano gli schiavi resi liberi dai loro Signori, e, a differenza della loro discendenza, non godevano di alcuni diritti.

    La situazione per gli ebrei era mutata enormemente dalla morte di Giulio Cesare, le ostilità si erano consolidate con l’ascesa di Costantino e l’affermazione del Cristianesimo. Quando Giustiniano abolì le disposizioni giuridiche in materia religiosa, gli antichi privilegi garantiti agli ebrei caddero e divennero delle semplici concessioni. Il diritto di possedere delle sinagoghe dipese dalle autorità vescovili e la libertà di culto divenne accessibile solo previo pagamento de “L’aurum Coronarium Iudaicum”, una tassa che aveva sostituito il “Fiscus Iudaicus”. A causa del forte senso di appartenenza alla propria religione e del rifiuto verso la totale assimilazione, gli ebrei erano considerati un problema dalla società cristiana. Molti apologeti e teologi cristiani svilupparono un genere letterario, detto “Adversus Iudaeos”, che aveva lo scopo di evidenziare le teorie evangeliche e diffamare, oltre che insegnare a disprezzare, gli ebrei. San Giustino, apostata e filosofo del medioevo, nel “Dialogo col Trifone”, tentò di dimostrare la verità del cristianesimo e la teoria che Gesù fosse il “Verus Israel” e che i cristiani fossero il vero popolo d’Israele. L’attività discriminatoria non fu solo ai danni degli ebrei, bensì anche nei confronti di tutte quelle culture diverse dal cristianesimo. Molti movimenti pagani, filogiudaici o le sette cristiane scomparvero col tempo, ma non gli ebrei, nettamente difficili da assimilare o far sciogliere come collettivo. Valorizzare troppo la cultura ebraica avrebbe ostacolato il processo di assimilazione e avvicinato il popolo alla loro cultura, mentre ripudiarla avrebbe messo in cattiva luce il cristianesimo, poiché derivante dall’ebraismo. Agostino, vescovo e teologo romano, sosteneva che gli ebrei fossero testimoni dei fatti narrati nel Vecchio Testamento, ma che non avessero riconosciuto in Gesù la venuta messianica e che fosse quindi compito dei cristiani punirli per questa mancanza. Per spingere il popolo a credere a queste teorie, non furono usate solo le parole, ma metodi minacciosi ed intimidatori. Ci fu un assalto ai diritti civili e politici degli oppositori, tra cui gli ebrei, ai quali venne tolta l’occasione di ambire a cariche sociali elevate, con l’intento di rinchiuderli nelle loro comunità. Le leggi emanate ai danni dei “diversi”, tuttavia, non furono sempre accettate e in molti casi non furono rispettate nemmeno nei stessi ambienti cristiani, mentre gli ebrei continuavano la lotta ai propri diritti. Teodosio I, imperatore in carica dal gennaio del 379 d.C, limitò, come altri prima di lui, gli antichi privilegi degli ebrei e mise in discussione le leggi ebraiche. Il tutto era volto ad integrare, omologare e quindi assimilare i costumi ebraici nell’ordine giuridico romano limitando l’antica autonomia che da sempre contraddistingueva la comunità ebraica di Roma, che tutt’oggi mantiene viva l’osservanza della propria religione e le antiche tradizioni.

     

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