Il 10 di Tevet del calendario ebraico è un giorno triste e di lutto, perché ricorda l’inizio dell’assedio babilonese condotto da Nabucodonosor II al Grande Tempio di Gerusalemme. Avvenuto nel 589 AEV sotto al regno di Sedechia, l’attacco portò poco dopo alla distruzione del Santuario ed all’inizio della diaspora, la dispersione del popolo ebraico in tutto il mondo.
Abbiamo ascoltato Rav Jacov Di Segni, Direttore dell’Ufficio Rabbinico della Comunità di Roma, per conoscere usi e significati di questa ricorrenza.
Come sempre nell’ebraismo, il ricordo non dev’essere solo nel pensiero ma anche nell’azione. Perciò i maestri hanno sancito in questa giornata un digiuno, definito “minore perché non istituito dalla Torah e perché la sua durata va dall’alba all’uscita delle stelle”.
Mentre le date di altri digiuni sono specificate nella Torah, quella del 10 di Tevet è dichiarata “nel libro di Ezechiele al capitolo 24”. Esiste una discussione in merito al caso in cui questa ricorrenza dovesse coincidere con lo Shabbat. “Secondo alcuni si deve comunque digiunare, ma altri, come Maimonide, sono contrari e sostengono che si dovrebbe posticipare. Per sopperire al problema, il calendario è stato fissato proprio per evitare la concomitanza tra i due eventi. È però l’unico digiuno che può capitare venerdì, ed in quel caso si digiuna fino ad inizio Shabbat”.
Nell’arco della giornata non è possibile mangiare né bere, ed i più rigorosi evitano addirittura di lavarsi e radersi. Come per tutti i digiuni, vi sono esenzioni per “i malati, le donne in stato di gravidanza, quelle che hanno appena partorito, quelle che allattano ed in generale per tutti i soggetti fragili”.
Recentemente, il 10 di Tevet è stato scelto dal Gran Rabbinato di Israele come giorno in ricordo della Shoah. Viene infatti pronunciato un Kaddish – preghiera per i defunti – in onore di tutte le vittime di cui non si conosce la data di morte.