Ago e filo, stoffa e stracci… La cucitrice era una delle arti delle donne ebree sia nel periodo del ghetto di Roma che dopo, quando la comunità godette della libertà tanto anelata. Le sarte e le rammendatrici lavorano in casa o sulla strada dove abitavano, dando un apporto fondamentale al’economia familiare. Così con le loro mani esperte eseguivano rammendi invisibili, ricostruivano vestiti e imbastivano nuovi capi da indossare. Lo storico Ferdinand Gregorovius nella sua opera “passeggiate per l’Italia” così descriveva il lavoro delle donne del ghetto di Roma nel 1853:
“Le figlie di Sion seggono ora sopra tutti que’ cenci; cuciono, rammendano tutto quanto si può ancora rammendare. Sono somme nell’arte del cucire,del ricamare, del rappezzare, del rammendare; non c’è alcuno strappo, in una drapperia, in una stoffa, per quanto grande esso sia, che queste Aracni non riescano a fare scomparire, senza che più ne rimanga traccia”
Nella foto la bottega (sartoria) di Angelo Romanelli, in via Santa Maria del pianto 2
Dal testo “Come eravamo per capire chi siamo”, Angelo Piperno