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    ROMA EBRAICA

    Crescenzo Del Monte, jodìo romano (1868-1935)

    Crescenzo Del Monte, ebreo romano, era nato nel ghetto nel 1868, due anni prima che la breccia di Porta Pia ponesse fine alle disposizioni che rinchiudevano gli ebrei nel “serraglio”, e sempre a Roma sarebbe morto nel 1935, tre anni prima che la vergogna delle leggi razziste segnasse spaventosamente la vita degli ebrei italiani. Del Monte dunque visse l’entusiasmante età dell’Emancipazione, quando gli ebrei italiani (e i romani furono gli ultimi!) ottennero i pieni diritti civili e politici e impararono a vivere liberi, uguali fra gli uguali, nel nuovo Regno d’Italia. E si accorse che millenni di civiltà, di tradizioni, di abitudini, di una vita di umiliazioni e di voglia di vivere, e di una lingua che si usava e si parlava soltanto nel ghetto (il giudaico-romanesco) si stavano per sempre allontanando e perdendo, e allora decise di “salvare” la memoria quelle tradizioni, quegli usi, quella lingua, scrivendo saggi e mettendo per scritto quel suo dialetto in poesia. Per costruire la quale si rifece al modello che prediligeva su tutti, il sonetto di Giuseppe Gioachino Belli, un modello che sempre rispettò e mai neanche lontanamente pensò di poter uguagliare. E Belli era il modello di una scrittura severa e scrupolosa sia nella testimonianza della lingua (il dialetto giudaico-romanesco, che conservava i tratti originari, di tipo meridionale, del dialetto di Roma; e di questa lingua Del Monte fu anche il primo studioso, tanto che tradusse in giudaico-romanesco testi medievali, cinquecenteschi e perfino Dante e Boccaccio), sia nell’assoluto rispetto della verità dei dati che nei sonetti vengono presentati, come la famiglia, il cibo, le abitudini, i luoghi, i tipi umani: la vita, insomma, in tutte le sue manifestazioni. Ed eccolo il sonetto di Del Monte, che con assoluta chiarezza e fedeltà al vero ricostruisce la vita di quegli uomini e quelle donne, senza orgoglio e senza vergogna, senza esaltazione e senza denigrazione, con felice autoironia e nessun compiacimento. Insomma, Del Monte davvero rimane fedele alla regola di Belli: “Io ritrassi il vero”. Dal quale Belli poi riprese anche la severità della struttura e la presenza di rigorose note esplicative che completano il quadro della rappresentazione.
    Eccolo dunque questo Romano di Roma, questo autentico protagonista della storia della città eterna

    Un romano de Roma

    Io so’ jodìo romano: e so’ romano

    da témpo de li témpi de l’antichi;

    quanno che se magnaveno li fichi1

    4)       e ancora ’un ze parlava montisciano.2

    Io parlo com’allora:3 e quel ch’è strano,

    la gente me ce burla! e par che dichi:

    «Me li saluti ’sti romani antichi

    8)      cor naso a becco e ’n feravecchio i’ mmano?»

    Àe visto Giuglio Cesere e Pompeo!4

    aio passato guai co’ Vespasiano,5

    11)    e fu da allora, ch’ài strillato: aèo.6

    Ma co’ ’st’ aèo, aio potuto véde

    tanti casi scasati’7 amman’ ammano,

    14)     e intànt’ io, grazziaddio, stàe sempre ’n piede8.

                                                                                                                                     31 Marzo 1923

    1 Dal modo pop.: «…come l’antichi – che buttaveno le cocce e magnaveno li fichi» –

    2 romanesco (il dialetto roma­nesco moderno, uno nella struttura, aveva prima del 1870 qual­che leggera sfumatura che lo faceva distinguere da rione a rione; quello de l’urion de Monti era tra i più puri).

    3 e cioè un dialetto più prossimo all’antico che non l’odierno romanesco comune.

    4 Come è noto, i primi ebrei si stabilirono a Roma al tempo di Pompeo e parteciparono con pianto ai funerali di Giulio Cesare. Da allora la permanenza di essi nella città durò ininterrotta.

    5 sotto il cui reggimento avvenne la distruzione del Tempio e la dispersione del popolo ebraico.

    6 (contraz. di: robbivécchio) grido dei rigattieri girovaghi.

    7 tante case scasate (dismesse, disfatte).

    8 E intanto io, grazie a Dio, sto sempre in piedi. Senza retorica, senza compiacimenti, senza autoesaltazione. Davvero la vita com’è nella sua necessaria articolazione di bene e di male, di salvezza e di sconfitta, di passato e di presente.

    La figura di Crescenzo Del Monte e i suoi sonetti torneranno protagonisti dal prossimo 15 settembre, quando in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, alle 19.30 in Largo 16 ottobre si terrà lo spettacolo “Lo parentato”, un reading di sonetti giudaico-romaneschi recitati da Sandro Di Castro.

    Inoltre, proprio in quella giornata il Museo Ebraico di Roma inaugura la mostra “La famiglia Del Monte nei secoli. Arte, storia e memoria”, visitabile dal 15 settembre al 10 novembre 2024, a cura di Olga Melasecchi e Lia Toaff. L’esposizione ricostruisce il patrimonio artistico, storico e sociale di questa importante famiglia ebraica, ispirata anche dal tema scelto quest’anno per la Giornata, la famiglia appunto, con particolare attenzione proprio a Crescenzo Del Monte che ne è divenuto illustre esponente.

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