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    Chi sarà il prossimo presidente USA? Dibattito anche nel mondo ebraico

    L’organizzazione ebraica “OR”, presieduta da Ugo di Nola, in collaborazione con “Il Pitigliani”, diretto dal presidente Bruno Sed, ha organizzato un incontro con studiosi ed accademici delle scienze politiche per discutere sulle tanto attese elezioni americane che si terranno il 3 novembre prossimo: Donald Trump VS Joe Biden, Repubblicani contro Democratici. Al dibattito ha aderito il professore di “Storia degli Stati Uniti” presso “RomaTre”, Daniele Fiorentino; il presidente e professore di Scienze Politiche alla “John Cabot University”, Franco Pavoncello; Amy Rosenthal, giornalista del “Times of Israel” e “Consigliere Guarini Institute of Public Affairs John Cabot University”; e lo storico americanista Massimo Teodori. Ha moderato l’incontro Massimiliano Boni, consigliere della Corte Costituzionale. Un mix di cultura impegnato in circa due ore di analisi storica e politica riguardo i due contendenti alla casa bianca.

    Un’elezione difficile quella che interesserà l’America tra pochi giorni, che nel frattempo si ritrova profondamente indebolita dalla crisi sanitaria ed economica causata dal Covid. Quindi: rielezione o deriva politica? I numeri statistici sembrano dare un netto vantaggio a Joe Biden, ma nulla è scontato, basti ricordare l’esito delle ultime elezioni in cui le statistiche preventive preannunciavano la vittoria “certa” di Hillary Clinton. Gli studiosi indicano due criteri in base ai quali, in generale, si potrebbe verificare la rielezione di un presidente: percentuale d’inflazione inferiore al 3% ed assenza di scontri e guerre significative. L’emergenza Covid ha sforato proprio questi criteri e fortemente destabilizzato la posizione di vantaggio nella quale Trump si trovava prima della crisi, una crisi che da qualche anno, ormai, si è concretizzata anche in ambito sociale a causa di un forte frazionamento della società generato dalla formazione di sempre nuovi movimenti di protesta. “BlackLivesMatter” è solo una delle centinaia di queste correnti, al quale si aggiungono quelle contro il razzismo, disparità sociale, violenza sulle donne, e contro la politica d’immigrazione attuata da Trump. La democrazia liberale americana sembra, quindi, essere fortemente mutata sotto quest’ultimo mandato e prenderà, secondo gli accademici, pieghe ignote se si dovesse riconfermare l’attuale presidenza. La politica di Trump ha portato fasce intere degli USA, che prima si dicevano repubblicane, a cambiare indirizzo politico a favore dei democratici. Come quanto accaduto nella “Rust Belt”, una regione economica rinomata per il settore dell’industria manifatturiera (della quale fanno parte: Illinois, Indiana, Michigan, Ohio, Wisconsin e Pennsylvania) che quattro anni fa era stata decisiva per l’elezione di Trump (tranne l’Illinois), e che ora sembra aver cambiato preferenza politica. Insomma, Joe Biden, secondo le prime statistiche, ha già l’87% dei consensi, contro il 13% di Trump. Ma la partita resta aperta. Per ora possiamo solo giudicare l’operato di Trump e fare delle considerazioni sul programma di Biden, che si dice più aperto all’immigrazione rispetto all’attuale presidente e che promette, nel proprio piano elettorale, tamponi e futuri vaccini gratuiti in pieno allineamento con lo “Obamacare”, legge di riforma sanitaria del 2010 con la quale si prevedeva un aumento di persone tutelate dal sistema sanitario. Tuttavia, non sembra essere favorevole nell’approvare la Medicare for All, riforma che incaricherebbe il governo come principale fornitore di assicurazioni sanitarie per i cittadini americani. Un elemento fondamentale della Presidenza Biden è, però, la vicepresidente Kamala Harris, simbolo di un cambiamento sostanziale nella politica americana che potrebbe, in futuro come lo era quasi stato in passato, vedere per la prima volta nella storia una donna a direzione della Casabianca.

    Con un breve sguardo alla politica estera, che è stata trattata nell’ultima parte del dibattito, Trump sembra aver raggiunto l’apice con la firma de “Gli accordi di Abramo”, con Israele ed Emirati Arabi Uniti, anche se rimane evidentemente tesa la situazione nei confronti della Cina, alla quale, il presidente degli USA, incolpa il ritardo nella comunicazione dell’esistenza del virus.

    Considerazioni, statistiche, proiezioni, ma chi siederà nell’ufficio ovale? Chi vincerà la 59° corsa alla Casabianca?

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