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    Al tempio Beth Eliyahu una serata di beneficenza per i pacchi alimentari di Pesach

    Con l’avvicinarsi della festa di Pesach si inizia a riflettere sul
    concetto di libertà: la libertà del popolo ebraico, uscito dalla schiavitu in
    Egitto, ma anche libertà del singolo individuo. È proprio a questo tema che è
    stata dedicata una lezione di Rav Zalmen Springer e Rav Benedetto Carucci,
    organizzata dai ragazzi del Benè Berith Giovani al Tempio Beth Eliyahu.

    Un’occasione di incontro, riflessione e dibattito per i giovani,
    ma anche una serata per raccogliere fondi destinati ai pacchi alimentari di
    prodotti kasher le Pesach per i bisognosi.

    “La festa di Pesach dovrebbe essere l’inizio del popolo ebraico in
    quanto tale. Arrivano in Egitto come una famiglia ed escono come un popolo
    unito. Una collettività unica – ha spiegato Rav Zalmen – Allora c’era una
    Mitzvà principale che era il korban pesach, il sacrificio pasquale che noi oggi
    sostituiamo con il Seder: un momento in cui ci riuniamo con la nostra famiglia,
    ma allo stesso tempo pensiamo alla collettività. Una parte dell’identità
    ebraica ci rende parte di un popolo”.

    Alla Derashà di Rav Zalmen Springer è seguito un commento di Rav
    Carucci alla Parashà di Shabbat Hakodesh, in cui si parla del Novilunio. “Se
    riflettiamo sul concetto di libertà, vuol dire che siamo  il prodotto di un qualcosa che c’era prima.
    Questo dovrebbe significare che non c’è nessuna possibilità di trasformazione.
    Il simbolo della luna, vista in diverse forme e da diverse prospettive, invece,
    ci dice che abbiamo la possibilità di cambiare. Riallacciandoci alla festività
    di Pesach, è importante pensare alla possibilità di cambiamento, perché questa
    prospettiva di fuga dal tempo è la chiave della libertà”.

    Al concetto di libertà
    si affianca quello della Tzedaká. “La Tzedakà è la fiducia di poter aiutare una
    persona a modificare la sua situazione – ha spiegato ancora Rav Carucci –  Non è casuale che questa sia una Mitzvà
    collettiva. Dobbiamo sapere che possiamo cambiare e avere la possibilità di
    farlo. Nella Haggadà parliamo di quattro figli, ma possiamo interpretarli anche
    come quattro atteggiamenti di un figlio che si evolve fino a diventare Chacam,
    saggio. Così come c’è mobilità sociale, c’è mobilità di identità”.

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