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    “Qualcosa di più” – La Menorah d’Oro ai Carabinieri premia atti di coraggio

    Esistono i codici e i regolamenti, ma c’è qualcosa di più. Per definirlo possiamo citare Kant: «il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me». A quella legge obbedirono quattro comandanti di Stazione carabinieri quando fu loro ordinato di arrestare gli ebrei. Nel pieno della guerra, soggetti alla Repubblica di Salò ormai preda di Hitler, seppero fare la scelta migliore.

     

    Si regolò così Giacomo Avenia, responsabile a Calestano. Grazie a lui, ai coniugi Amelia Prevoli e Ostilio Barbieri e al sacerdote Ernesto Ollari, una famiglia di tre persone scampò allo sterminio. Non fu da meno a Bellaria il suo collega Osman Carugno, che con l’albergatore Ezio Giorgetti aiutò 38 ebrei a fuggire. Carlo Ravera, titolare ad Alba, con la moglie Maria e la signora Beatrice Rizzolio salvò sette famiglie e altre cinque persone. Il peggio toccò a Enrico Sibona, comandante a Maccagno. Per aver fatto scappare due donne fu deportato. Rientrato in Italia, provato nel fisico, ritrovandone una le disse: «Ringrazio Dio per la mia decisione. Io sono un po’ malridotto, ma voi non sareste tornate».

     

    A Gerusalemme, presso lo Yad Vashem, a loro nome sono stati piantati alberi. I quattro sono Giusti fra le Nazioni, un premio concesso a chi, di religione diversa, rischiò la vita per salvare ebrei. Non furono i soli. Altri sostennero i perseguitati, convinti che la loro cattura fosse un’ingiustizia. Non hanno avuto il riconoscimento, per il quale occorrono testimonianze, perché i salvati sono poi stati presi, sono espatriati o non conoscevano i propri beniamini.  

     

    Con ciò fa il paio la vicenda del 7 ottobre 1943. L’Italia aveva appena capitolato e i nazisti, già alleati, avevano occupato Roma. Subito iniziarono i soprusi verso la Comunità ebraica, culminati nella pretesa di cinquanta chili d’oro. Era il prezzo da pagare per evitare la deportazione di 200 capifamiglia, come racconta un bel film di Carlo Lizzani.

     

    L’obolo fu versato, ma i piani per la Soluzione finale solo rinviati. Mentre li preparava, il comandante Herbert Kappler capì che per attuarli doveva privare la città di ogni difesa. Stando alla sua valutazione, trascritta in un dispaccio conservato al Museo di Via Tasso, l’Arma si sarebbe opposta, magari armando la popolazione.

     

    Le conseguenze furono drammatiche. Di nuovo si attivò la RSI, il cui Ministro della guerra Rodolfo Graziani convocò i Carabinieri presso caserme romane. Uno alla volta furono disarmati e deportati in vari campi. Le stime oscillano fra i 2.000 e i 2.500, un quarto di loro non fece ritorno. Nove giorni dopo, il Ghetto fu rastrellato e venne Auschwitz.

     

    Gli eroi di quel tempo lontano continuano ad affiorare: il brigadiere Bruno Pilat che da Aprica fece riparare 218 ebrei jugoslavi in Svizzera, il capitano Massimo Tosti protagonista del recente libro A testa alta, che nel sud della Francia si adoperò per salvare quattromila persone.   

     

    Grazie al loro coraggio, all’impegno ininterrotto per la sicurezza degli ebrei italiani e a iniziative come il recupero di 19 volumi antichi sottratti durante la guerra o il Protocollo d’intesa con la Comunità romana per la ricerca di altri beni trafugati, il 7 ottobre, alla vigilia della ricordata deportazione, il Presidente del Benè Berith Sandro Di Castro consegna al Comandante Generale Teo Luzi la Menorah d’Oro, oggetto di alto valore simbolico, per la prima volta offerto a un’istituzione. È un atto che onora entrambe le parti e rinsalda il loro legame. È olio per ungere gli ingranaggi del Bene.

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