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    “Am Echad, Lev Echad” – Quando i singoli fanno la Comunità

    Nell’ebraismo l’aiuto del prossimo costituisce una Mitzvà importante. Nella Comunità di Roma è messa in pratica con l’operato delle istituzioni, della Deputazione, delle fondazioni filantropiche internazionali. Poi però ci sono le iniziative dei singoli, che nell’ambiente proliferano sotto diversi ambiti e si sviluppano grazie ad una rete di persone che da anni compiono incessantemente opere di bene, a cominciare dal livello più alto di Ghemilut Chassadim (generosità), la presenza agli eventi di lutto. Otto anni fa, parallelamente alla nomina di responsabile della Chevrat Kadishà (lavaggio dei defunti prima del seppellimento), Daniel Di Porto ha infatti costituito un gruppo che, su sollecitazione del Chazan, dell’Ufficio rabbinico o dei familiari, offre la propria disponibilità a presenziare a funerali e Haskarot, così da permettere il raggiungimento di 10 uomini necessario per lo svolgimento della funzione anche all’interno di contesti con famiglie non particolarmente numerose o lontane dall’ebraismo. C’è poi chi presta assistenza all’interno degli ospedali. Su questo nessuno come Claudio Pavoncello, che dal 2007 ha visitato 99 centri oncoematologici e per persone diversamente abili tra Roma e Israele, portando vestiti, gadget e molto altro, raccolti tra i membri della comunità. Con un po’ di emozione ci racconta dei mercatini allestiti per raccogliere fondi, delle camere piene di giochi e regali allestite all’interno dei reparti e dell’importanza di trasmettere quest’esperienza ai propri figli. «Non sono ricco, ma mi piacerebbe lasciare loro una cosa bella in eredità – racconta a Shalom – Vorrei che imparino ad aiutare il prossimo e che continuino quello che sto facendo. Qui si guadagna vedendo felici le persone meno fortunate». Claudio Pavoncello è anche un’istituzione del calcio ebraico romano, ed è stato uno dei fedelissimi dell’ “Intramontabile calciotto di Gianni”, organizzato da Leonello Fiorentino. Dal 1987 l’Intramontabile ha unito oltre 500 persone di ogni età ed estrazione sociale, facendo anche Tzedakà attraverso la donazione periodica di una somma di denaro accumulata attraverso un supplemento alla quota per il pagamento del campo. Fiorentino ha appeso a giugno gli scarpini al chiodo all’età di 74 anni, e con orgoglio ricorda il “suo” calciotto come uno straordinario strumento di aggregazione. «Hanno partecipato negozianti, dottori e addirittura rabbini, ma ciò di cui vado più fiero è il rispetto dei giovani: quando mi sono ritirato, una delle cose più belle che mi hanno detto è stata che quest’esperienza ha dato loro anche degli insegnamenti per la vita». Su questo modello è nato da poco un altro calciotto, organizzato da Daniel Di Porto, figlio di quello stesso Gianni, scomparso nel 2017, a cui è dedicato l’Intramontabile. «Sono cresciuto giocando con mio padre da Leonello, e il suo modo di organizzare per me è un esempio: è un uomo che rispetta ed è rispettato da tutti. Per questo ci consideriamo un prosieguo – afferma Di Porto – Abbiamo creato un gruppo di oltre 70 persone che gioca a calcio per stare insieme e fare del bene». Dulcis in fundo quello di Amos Tesciuba, che dal 2011 raduna allo stesso modo centinaia di persone facendo beneficenza, vantando anche la partecipazione di uno dei giocatori più longevi della storia del calcio ebraico romano, Fausto Zabban, 91 anni. Quanto raccolto viene in ogni caso devoluto secondo la necessità del momento. A volte ad un’associazione esterna alla Comunità, altre alla Deputazione, altre ancora a comitati nati spontaneamente. Uno di questi è “Amici di Or Lamishpachot Italia”, nato per sostenere l’omonima organizzazione no-profit che si occupa di assistere i genitori di soldati israeliani che hanno perso la vita in guerra o in attentati, cercando di aiutarli a ricostruire le loro esistenze. La raccolta fondi consente a decine di queste persone di venire in Italia, dove dal 2016 hanno avuto la possibilità di passare dei momenti di spensieratezza, accolte dall’abbraccio della comunità romana nel consueto appuntamento al Tempio Maggiore. «Vogliamo che sentano il nostro affetto. I loro figli hanno combattuto per i nostri figli – sottolinea Riccardo Pacifici, ex presidente della Comunità Ebraica di Roma e tra gli organizzatori del comitato – Il progetto costituisce un modello in cui l’elaborazione del lutto non passa attraverso l’odio, ma attraverso la vita. In queste famiglie c’è comunque la voglia di guardare avanti».

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