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    ‘’Memorie di Famiglia – i giovani tramandano le storie dei nonni’’- Le vicende degli ebrei stranieri in Italia

    Memorie di Famiglia, il progetto del Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani, che si pone l’obiettivo di tramandare alle nuove generazioni la memoria attraverso letture che coinvolgono i giovani discendenti dei testimoni, attribuendo rinnovata autenticità al vissuto, è dedicato quest’anno alle vicende degli ebrei stranieri in Italia. 

     

    Il censimento degli ebrei stranieri del 1938 contava circa 4000 rifugiati, secondo quanto indicato dall’inquadramento storico di Anna Foa. Dal 1936 al 1938 le condizioni degli ebrei stranieri in Italia peggiorarono progressivamente con misure che portarono al loro arresto e alla perdita della cittadinanza italiana. 

     

    Tra le testimonianze che verranno lette il 23 gennaio su Facebook c’è quella di Ernesto Lazar e Anny Schiff Lazar. Entrambi austriaci, scappano da Vienna in momenti diversi per riparare a Zagabria, dove si sono conosciuti. Qui, temendo l’arrivo dei tedeschi,  Ernesto Lazar ha organizzato un nutrito gruppo di profughi con cui si rifugia in Italia.

     

    Il figlio Beniamino racconta che in Italia i suoi genitori furono costretti a vivere a Canelli, in Piemonte, dove lavorarono, ricevendo anche aiuti dalla popolazione locale. «Nel 1942  gli ebrei della zona sono stati caricati dai fascisti su un treno. Non sapevano dove li avrebbero portati. Temevano che il treno li avrebbe portati in Germania. Invece il treno andò al sud. Via Roma sono arrivati in Calabria, vicino Cosenza. Li hanno poi portati a piedi fino al campo di internamento di Ferramonti vicino Tarsia. Sono quindi entrati nel campo di internamento tenuto da fascisti, da italiani» racconta Beniamino. «Si sono anche sposati ancora in prigionia: nel luglio del 1943, prima della liberazione del campo, hanno celebrato il matrimonio nel campo – prosegue – a dire il vero si volevano sposare già a Nizza Monferrato. Avevano anche già chiamato un rabbino, il Rabbino Segrè».

     

    L’abito da sposa è stato realizzato nel campo da un sarto con dei lenzuoli, secondo quanto raccontato da Anny Schiff Lazar nella testimonianza tratta dal volume realizzato in occasione del loro sessantesimo anniversario di matrimonio. 

     

    Con l’avvicinarsi dell’8 settembre gli internati capirono di essere in pericolo a causa della vicinanza dei tedeschi. Il direttore del campo mostrò una  “grande umanità”- secondo la testimonianza di  Ernesto Lazar- andò infatti a Roma “per pregare le autorità di farci rimanere a Ferramonti”. Fu il Maresciallo Marrari che fece scappare tra le montagne i prigionieri. Nonostante i nazisti, i drammatici bombardamenti e i morti, Ernesto Lazar e la moglie si salvarono. Rimasero a Ferramonti per circa un anno per poi trasferirsi a Roma. 

     

    «I miei genitori ogni tanto hanno fatto gite in Calabria per vedere ciò che è rimasto del campo» prosegue Beniamino Lazar che racconta come la madre si è impegnata a lungo per far riconoscere dallo Yad Vashem  il Maresciallo Marrari tra i Giusti tra le nazioni. « La pratica è ancora aperta» conclude Lazar. 

     

    Un’altra testimonianza viene letta da Stella Di Porto. E’ un estratto da volume “L’interprete di  Auschwitz: Arminio Wachsberger”.  Lo zio del padre di Stella è Vittorio Polacco. Vittorio, a soli 3 anni, è stato coraggiosamente salvato dallo zio Arminio.

     

    Arminio era figlio David Wachsberger, rabbino a Fiume. Aveva sposato Regina Polacco, una ebrea romana da cui aveva avuto una figlia. 

     

    Il 16 ottobre del 1943 a Roma le SS arrestarono Arminio, la moglie, la figlia e il nipotino, Vittorio Polacco, che era rimasto a dormire nella loro casa. Furono caricati su di un camion delle SS insieme ad altri arrestati. Quando il camion passò per Via della Luce dove abitava il cognato,  il padre del piccolo Vittorio Polacco, Arminio ebbe la prontezza ed il coraggio di lasciare alla portinaia dello stabile il bambino, così salvandolo. 

     

    Insieme alla sua famiglia Arminio ebbe una sorte più sfortunata. Finì ad Auschwitz dove la moglie e la figlia furono brutalmente assassinate. Arminio Wachsberger si salvò anche grazie alla conoscenza del tedesco che gli permise di diventare l’interprete di Mengele, medico criminale nazista. Dopo la fine della guerra Arminio andò a vivere in Israele dove si risposò ed ebbe due figlie, Clara e Silvia. 

     

    Con il patrocinio del CDEC, del MEIS  e di Progetto Memoria, il contributo della Fondazione Museo della Shoah e con la collaborazione dell’Associazione Figli della Shoah, l’undicesima edizione di “Memorie di Famiglia- i giovani tramandano le storie dei nonni” si terrà il 23 gennaio alle ore 11.00 online sulla pagina Facebook del Pitigliani.

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