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    1958: quando gli ebrei si difesero dai neofascisti

    Fu l’ennesimo duello nel ghetto, uno di quelli rimasti per sempre nelle pagine dei quotidiani. Tra il pomeriggio e la notte che precedono il 24 maggio 1958, il quartiere ebraico di Roma fu vittima di gravi attacchi antisemiti da parte di alcuni militanti dell’MSI. Gli ebrei, stufi delle continue incursioni neofasciste, risposero alle violenze.

     

    Per Shalom abbiamo ricostruito questa vicenda grazie all’aiuto di Rina Menasci – all’epoca redattrice del giornale Israel, in Corso Vittorio – e delle informazioni raccolte da “La voce della Comunità Israelitica”, di cui riportiamo alcune citazioni.

     

    Era un venerdì pomeriggio di ormai sessantatré anni fa, ore 15.00, quando due auto coperte dai segni propagandistici dell’MSI si fermarono al Portico d’Ottavia, nei pressi del Bar Totò. Degli individui scesero dalle vetture per dirigersi nell’osteria della piazza, dove cominciarono ad inneggiare al fascismo e al duce, scontrandosi subito con gli ebrei del quartiere. Ma quando i missini gridarono “morte agli ebrei”, la disputa si tramutò in rissa. “Malgrado superiori di numero, alcuni provocatori si dettero alla fuga in una macchina, mentre altri ebrei sopraggiunti impartivano una dura lezione a chi aveva osato inneggiare ai loro carnefici”.

     

    Fu l’ennesima istigazione che aveva come bersaglio il Ghetto. Nonostante la guerra fosse finita ormai da più di un decennio, il fermento dell’estrema destra non era mai davvero cessato. Continui comizi missini nel quartiere ebraico, ronde fasciste, gli ebrei dovettero ben presto imparare a difendersi per mandare un messaggio molto chiaro: dopo il 16 ottobre, la storia non si sarebbe ripetuta.

     

    A seguito del blitz, il Rabbino capo Elio Toaff ed il vicepresidente della Comunità ebraica si rivolsero al commissariato di Campitelli per richiedere una maggiore sorveglianza della zona “anche per evitare possibili nuovi incidenti all’uscita della funzione di sera, alla quale di solito partecipavano un migliaio di persone”.

     

    La preghiera di Arvìt si svolse serenamente, malgrado tutti sapessero che la faccenda non fosse finita lì. Accade infatti poco dopo che “numerose automobili, scortate da dei motociclisti, irruppero nel Portico d’Ottavia sventolando gagliardetti neri, urlando ingiurie, lanciando mortaretti e sparando in aria”.

     

    Avvenne tutto rapidamente. Le macchine furono inseguite e poi bloccate dagli ebrei della zona, che percossero gli incursori. L’intervento della polizia riuscì a ristabilire l’ordine solamente alle due di notte, quando le strade tornarono ad essere deserte e scortate da un agente di servizio. Una quiete, però, che precedeva solamente la tempesta.

     

    Ore quattro circa del mattino, la sorveglianza non c’era più. Altri neofascisti arrivarono nel ghetto e sfregiarono le lapidi in memoria degli ebrei caduti nei campi di sterminio e alle fosse ardeatine, lasciandovi sopra un manganello e due lettere dirette alla Comunità israelitica. Queste contenevano “patetici inviti alla conversione, perché soltanto abiurando la loro fede religiosa avrebbero potuto sperare nell’aiuto della Provvidenza”.

     

    Col sorgere del sole, la notizia dell’accaduto si sparse in tutta la città, ed ebrei dei più disparati quartieri si radunarono al Ghetto per rispondere all’affronto degli sciacalli. L’aria era calda, la tensione elevata e bastava un solo pretesto per accendere gli animi, che nondimeno si presentò: due ragazzi si fermarono davanti alle lapidi profanate ostentando giornali neofascisti, tra cui “Il Secolo d’Italia”.

     

    Fu questione di un istante: la folla si impadronì dei provocatori. Il primo venne salvato dalla polizia, mentre il secondo, datosi alla fuga, saltò sul tram di passaggio cercando di nascondersi fra i passeggeri. “Una donna, Renata Cristofari, vide la sua mossa e l’acchiappò da dietro tirandolo giù” ci racconta Rina Menasci. Subito dopo, ancora la polizia riuscì a strappare via anche lui.

     

    Nella memoria di Rina Menasci riaffiora anche la presenza, in quel contesto, di una delle personalità ebraiche più note ed importanti dell’epoca: Ada Sereni. “Venne a Roma e prima di entrare al tempio, voltandosi verso le persone, disse loro che non avrebbero dovuto votare a destra. Poi entrò a parlare con i vertici della Comunità”.

     

    Dopo le incursioni fasciste e la difesa del ghetto, uomini, donne e ragazzi ebrei si misero a pulire le lapidi, portando un tributo ai propri morti e recando fiori in gran numero. La notizia del vile attacco raggiunse le alte sfere della popolazione romana provocando lo sdegno più totale. Fra i primi a recarsi in Sinagoga, l’On. Picciardi che espresse solidarietà “stigmatizzando con parole roventi l’accaduto”.

     

    Rav Toaff convocò nella sala delle Ketuboth il consiglio della Comunità, per metterne al corrente i membri e per prendere i provvedimenti necessari. “L’allora Questore Marzano frattanto faceva sapere al Rabbino capo che un funzionario di gabinetto sarebbe stato pronto ad ogni sua richiesta, e per ben tre volte si recò a ispezionare le forze di polizia che presidiavano la zona ebraica”.

     

    Questa vicenda rientra in una delle tante storie di difesa del quartiere ebraico. Dilaniati dalla Shoah e mossi dallo spirito di rivalsa, gli ebrei romani poterono contare solamente sui propri sforzi per difendersi dall’odio antisemita e per dimostrare, infine, che fossero pronti e capaci a difendersi.

    Foto su gentile concessione dell’Archivio storico della Comunità ebraica di Roma

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