Sono passati ottanta anni dalla razzia degli ebrei di Roma, forse l’evento più conosciuto della storia della città durante la Seconda guerra mondiale. Basti pensare che la prima pubblicazione su questa tragedia, “16 ottobre” di Giacomo Debenedetti, uscì a Roma già nell’autunno del 1944, con l’Urbe appena liberata e la guerra ancora in corso.
Sono seguiti articoli e libri scientifici, mostre, film, documentari, opere teatrali e romanzi a fumetti. Una pletora quindi di pubblicazioni che ha preso in considerazione tutti gli aspetti della razzia: i persecutori, le vittime, i sopravvissuti, i testimoni, i luoghi. Conosciamo i nomi dei maggiori responsabili, delle vittime e dei sopravvissuti. Sappiamo dove sono stati presi gli ebrei e dove si sono nascosti gli scampati. In sintesi, sappiamo moltissimo, ma non tutto.
Il ruolo delle istituzioni fasciste è quasi certo. Fu la questura a fornire le liste degli ebrei da arrestare. Tuttavia ci sono alcune testimonianze, piuttosto labili, di partecipazione di italiani agli arresti e alla custodia degli ebrei. Un testimone ha parlato di ebrei rinchiusi in una caserma dei bersaglieri a Trastevere, mentre dei finanzieri hanno raccontato di aver avuto il compito di tenere sotto custodia degli ebrei nella caserma della Guardia di Finanza in viale XXI aprile, nei pressi di piazza Bologna. I finanzieri hanno anche raccontato di aver permesso la fuga di alcune ragazze ebree, ma rimane il fatto che la loro testimonianza ha comunque rivelato l’utilizzo di caserme e di personale italiano (peraltro totalmente inaffidabile) da parte dei nazisti.
Altre testimonianze di ebrei scampati agli arresti hanno invece raccontato di fascisti che accompagnavano i tedeschi. Anche in questo caso non ci sono documenti dell’epoca che attestino l’ordine dato alle camicie nere (quelle poche che giravano a Roma nell’autunno del 1943) di partecipare agli arresti, ma non è assolutamente escluso che qualche fascista particolarmente fanatico non abbia approfittato dell’occasione per collaborare con i nazisti oppure per saccheggiare le case rimaste vuote.
Non sappiamo ancora perché la razzia si concluse così presto (nel primo pomeriggio), nonostante i risultati fossero stati, per i nazisti, decisamente insufficienti. “Solo” poco più di mille persone erano state arrestate, sulle 8.000 che erano state previste. Eppure i nazisti decisero di fermare la macchina degli arresti. Un’ipotesi avanzata da studiosi cattolici parla di un intervento del Vaticano, attraverso un complicato gioco diplomatico che avrebbe portato Himmler a dare l’ordine di fermare gli arresti e in seguito a rilasciare gli ebrei appartenenti a famiglie “miste”. Non esiste alcuna prova di un intervento del Vaticano, come è certo, da quando è stata pubblicata l’agenda di lavoro di Himmler, che il capo supremo non prese nessuna iniziativa riguardante Roma né il 16 ottobre, né nei giorni successivi.
Il motivo che portò a fermare la macchina della persecuzione, insomma, rimane ancora avvolto nell’oscurità, e necessita di ulteriori indagini negli archivi tedeschi.
Infine una domanda che attanaglia tutti i curatori di mostre e gli autori di documentari: perché non si conosce alcuna foto o filmato della razzia? Possibile che l’arresto e la deportazione di oltre mille cittadini italiani dalla Capitale, avvenuta in tre giorni di fronte all’intera cittadinanza, non abbia spinto qualcuno a fotografare o filmare gli arresti? Nessun fascista, nessun nazista ha preso l’iniziativa di immortalare una pagina tanto clamorosa della “soluzione del problema ebraico”?
È una domanda che apre molti interrogativi sulla cattiva coscienza di questa città nei confronti dei suoi concittadini ebrei. Una città che, nonostante alcuni grandi e piccoli gesti di solidarietà, non ha saputo, né voluto, opporsi a questa immane tragedia. Una città che ha preferito girarsi dall’altra parte, e nascondere le prove e le testimonianze di ciò a cui, senza opporsi, aveva colpevolmente assistito.