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    Un braccio di ferro segreto e decisivo fra Israele, Usa e Iran

    Da sempre la diplomazia ha bisogno del segreto per svolgere il suo compito delicato e questo è certamente vero anche nel nostro tempo in cui la politica sembra svolgersi sul teatrino dei social media. Ma quando si arriva alle dichiarazioni pubbliche, anche su Twitter o Facebook, vuol dire che l’intreccio diplomatico è concluso, oppure che si stanno dicendo cose obbligatorie e solo liturgiche, oppure ancora che si sondano gli interlocutori per vedere le loro reazioni. Il primo caso è quello degli accordi di Obama con l’Iran, negoziati in segreto e poi passati alla fase pubblica quando le scelte erano state fatte. Il secondo caso comprende gli innumerevoli documenti dell’Onu, per esempio quelli contro Israele, firmati anche da Stati che di fatto seguono una politica del tutto diversa. Il terzo caso può essere il più attuale, perché solo così si spiegano alcune dichiarazioni importanti che riguardano il problema più vitale per la sicurezza di Israele, cioè la minaccia atomica iraniana. Vale la pena di fare il punto.

     

    Innanzitutto c’è stato un succedersi di pronunciamenti molto allarmanti sullo stato di approntamento di questa minaccia. Nelle ultime settimane ne ha parlato più volte Benny Gantz, che da un anno e mezzo è ministro della difesa di Israele e prima era stato capo di stato maggiore dell’esercito, a quanto si dice una delle autorità militari che una decina di anni fa si erano opposte alla decisione di Netanyahu di bombardare gli impianti atomici iraniani. Gantz è anche l’uomo che può far cadere Bennett dalla carica di primo ministro, per sostituirlo con l’appoggio del Likud. e già si comporta un po’ da primo ministro designato. Da un mese in qua si è spesso parlato di trattative avanzate in questo senso. Gantz ha fatto una serie di dichiarazioni, collocando il momento in cui l’Iran avrà a disposizione tutto quel che gli serve per costruire immediatamente una bomba atomica verso la seconda metà di ottobre. E’ evidentemente un allarme urgente, che richiede un’azione immediata. Lapid, il ministro degli esteri che è l’uomo forte della maggioranza attuale ed esprime in forma più lucida la sua anima di sinistra, ha dichiarato che Israele non può accettare la prospettiva di un Iran atomico. Gantz poi ha detto con molto clamore che Israele può adattarsi alla prospettiva di un rinnovamento del trattato di Obama con l’Iran, e questa è una grossa novità rispetto alla linea degli ultimi dieci anni, “a patto che gli Stati Uniti abbiano un piano B, se l’accordo non si realizza, e magari anche un piano C.”

     

    Queste parole un po’ enigmatiche si comprendono meglio ricordando l’ammonimento che il Segretario di Stato Usa (titolo equivalente al nostro ministro degli esteri), ha rivolto all’Iran, e cioè che il tempo per rinnovare l’accordo sta per scadere: una risposta alla decisione iraniana di riprendere le trattative solo a novembre, cioè quando, secondo la valutazione di Gantz, l’Iran sarà già una potenza nucleare. Esse riprendono poi quel che Biden ha dichiarato dopo l’incontro con Bennett, che gli Usa non vogliono vedere l’Iran nuclearizzato e che se le trattative sul rinnovo dell’accordo falliranno, “ci sono altre possibilità” – sennonché poi qualcuno nell’amministrazione si è affrettato a definire “diplomatiche” queste altre possibilità, cioè il piano B. Solo il piano C sarebbe quello militare, ma Biden si rifiuta anche di citare questa eventualità. Eppure la decisione andrebbe presa subito, perché se l’Iran avrà la Bomba sarà troppo tardi per un attacco e certo anche per un trattato.

     

    Insomma, siamo a una sorta di tiro alla fune. Impegnandosi con Biden a comunicargli preventivamente qualunque iniziativa militare, come sembra abbia fatto Bennett, Israele si è tolto la possibilità di un attacco di sorpresa all’Iran non gradito all’amministrazione. Basta far trapelare la notizia di un attacco, come ha spesso fatto Oabama, per renderlo impossibile. E in effetti Netanyahu aveva ordinato ai servizi segreti israeliani di limitare lo scambio di informazioni con gli americani sotto la presidenza Biden, come aveva fatto in precedenza con Obama; ma pare che Bennett abbia revocato anche questa disposizione. Dunque il governo attuale ritiene di avere una sorta di credito morale con l’amministrazione per aver “restaurato la fiducia reciproca”, come ha detto Lapid in un incontro con Blinken. Ma gli Usa di Biden non vogliono più usare le maniere dure di Trump con gli ayatollah, come non l’hanno fatto con i Talebani, non vedono  l’Iran come un pericolo immediato per la loro sicurezza nazionale e stanno anche sgomberando le basi in Irak che servivano fra l’altro proprio a contenere l’Iran. Israele continua a premere, gli americani spendono misurati avvertimenti diplomatici, l’Iran lavora a tutta forza alla Bomba.

     

    Che cosa uscirà da questo braccio di ferro a tre non è possibile dirlo, anche perché non solo la diplomazia è segreta, ma anche e soprattutto lo è l’uso della forza militare e la sua preparazione. E’ possibile che qualcosa di importante avvenga prima di novembre. Possiamo solo sperare che gli attuali dirigenti israeliani abbiano calcolato la partita, perché si tratta di una svolta decisiva. Con l’Iran armato di bomba nucleare, l’autodifesa di Israele sarebbe molto limitata e quindi estremamente più difficile.

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