Prima il Presidente Donald Trump che definisce “virus cinese” il Covid 19, poi il Sottosegretario di Stato americano Mike Pompeo che chiama direttamente in causa Pechino sulle origini della pandemia: “Abbiamo le prove che il virus sia partito da Wuhan, in Cina”. Più precisamente, sostiene Washington, il virus sarebbe stato creato all’interno di un laboratorio cinese e da lì, a seguito di un incidente, si sarebbe diffuso in tutto il mondo. Non crede a questa ipotesi Anthony Fauci, massimo esperto americano di malattie infettive e membro di punta della task force della Casa Bianca: “Se si guarda all’evoluzione del virus nei pipistrelli e a cosa c’è là fuori adesso – ha dichiarato Fauci nel corso di un’intervista rilasciata al National Geographic – le prove scientifiche vanno fortemente nella direzione che il virus non avrebbe potuto essere manipolato artificialmente o deliberatamente e guardando all’evoluzione nel tempo tutto indica fortemente che questo virus si è evoluto in natura e poi ha saltato specie”.
Una teoria, quella dell’infettivologo statunitense, condivisa dalla maggiorparte della comunità scientifica internazionale e , in particolare, dagli 007 del cosiddetto Five Eyes – un’alleanza di intelligence tra Stati uniti, Canada, Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda – che pur accusando Pechino di poca trasparenza ritiene improbabile che la diffusione del Covid 19 sia avvenuta a causa di un incidente di laboratorio. Più ragionevoli, come cause, risulterebbero essere le interazioni tra uomo e animale favorite, queste sì, dal commercio cinese di animali vivi.
Nel documento di oltre 10 pagine messo a punto dagli 007 si parla esplicitamente di “attacco sulla trasparenza internazionale” e si punta il dito contro la Cina che sino al 20 gennaio aveva categoricamente smentito la possibilità di un contagio tra esseri umani. Insomma, untori no ma insabbiatori sì. Mancanza di trasparenza, del resto, viene attribuita anche agli Stati Uniti che, secondo alcuni rappresentanti dei Five Eyes, non starebbero condividendo le informazioni in loro possesso con gli altri Paesi membri dell’alleanza di intelligence. Stessa accusa che alla Casa Bianca viene rivolta da parte dell’Oms.
Ma è soprattutto sui silenzi del governo di Pechino che si concentra il dossier dei servizi di spionaggio alleati ed è a quel dossier che si appella Trump quando dichiara: “Hanno cercato — dice Trump — di insabbiare le notizie, di nasconderle. È come cercare di nascondere un incendio. Non ci sono riusciti». Ma mentre Pechino continua a tacere, alcune prove cominciano a venir fuori. Lo spiega bene Federico Rampini in un articolo comparso oggi su Repubblica: “È di ieri un reportage del New York Times sui familiari delle vittime di Wuhan minacciati, interrogati, intimiditi dalla polizia. Una fonte dell’amministrazione Trump, citata da Cnn, si spinge a parlare di aperta mala fede da parte di Pechino: secondo le dichiarazioni di quello che la tv definisce ‘un funzionario della Sicurezza interna’, la Cina avrebbe cominciato a fermare le sue esportazioni di materiali medici essenziali e accumulare riserve sanitarie prima di comunicare del contagio all’Oms”.
Accuse pesantissime che potrebbero preludere all’inizio di una nuova guerra fredda. Numerose sono già le cause intentate contro il governo di Xi Jinping da parte dei familiari delle vittime americane del Covid e mentre le Borse sono sempre più in affanno gli Stati Uniti si preparano a nuove rappresaglie economico-finanziarie, prima fra tutte l’introduzione di nuovi dazi commerciali. Tutto lascia pensare, insomma, che il conflitto sul coronavirus altro non sia – come si diceva una volta – che la continuazione di una guerra economica con altri mezzi. E che forse solo cavalcando il radicatissimo sentimento anticinese Trump possa sperare di non perdere le prossime e imminenti elezioni.