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    Riflessioni culinarie per il post pandemia

    Riflessioni da un “tranquillo” Shabat di pandemia. “Avrò messo abbastanza sale allo stracotto? Le challot saranno lievitate a sufficienza? Certo, io che sfottevo mia madre perché iniziava a pensare alla cena del venerdì sera già dalla domenica…il lunedì buttava giù il menù, il mercoledì andava in macelleria e il giovedì si chiudeva a doppia mandata in cucina” Decine di giovani e meno giovani madri di famiglia si sono ritrovate all’improvviso, non solo a confrontarsi con la paura di un virus sconosciuto, ma anche a fronteggiare qualcosa di ben più destabilizzante: il mancato invito a cena da parte di madri e suocere. Anni di ospitate da far impallidire anche Barbara D’Urso andate improvvisamente in fumo e un solo imperativo: imparare a cavarsela da sole tra challot, aliciotti con l’indivia, lubia e cous cous. Ironia a parte, la pandemia ha privato le nostre famiglie della convivialità tipica dello Shabat e delle feste principali, quello che prima era scontato improvvisamente è diventato proibito, sconvolgendo le radicate abitudini di ognuna di noi. A causa di questo isolamento culinario abbiamo chiesto a nonne, madri e zie le ricette di famiglia e siamo entrate in cucina con uno spirito nuovo, quello di essere alla loro altezza.

     

    L’ansia da prestazione l’ha fatta da padrona, anche perché come si poteva gareggiare con i piatti della suocera agli occhi del suo viziatissimo figlio maschio, come si poteva eguagliare tutto il tempo trascorso tra i fornelli ad imparare trucchi e segreti per il piatto perfetto? Abbiamo partorito quintali di lievito madre ai quali abbiamo dato nomi biblici sperando avessero una “forza” soprannaturale. Abbiamo sfornato trecce di pane che profumavano di speranza, la speranza di uscire dal tunnel del virus, le abbiamo benedette e abbiamo pregato per i malati e per il mondo intero. Un anno e tre mesi di tour de force in cucina in cui abbiamo imparato non solo che siamo in grado di essere come le nostre genitrici, ma soprattutto è prevalsa la speranza e l’immaginazione nel pensare a come sarebbe stato bello potersi trovare di nuovo seduti tutti insieme intorno ad una tavola imbandita per lo Shabat. Un lungo tempo in cui abbiamo potuto apprezzare le nostre tradizioni e l’amore con cui le donne le portano avanti da centinaia di anni, per non dire millenni. Un tempo in cui ci siamo rese conto che forse potevamo replicare le ricette in modo perfetto ma che poi mancava l’ingrediente principale: la condivisione del pasto, le chiacchiere sulla settimana appena trascorsa e le scaramucce tra mamme e figlie. E allora, ora che lentamente Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson ci stanno liberando da questa novella schiavitù, faremo tesoro di ciò che abbiamo imparato e non saremo più figuranti ai fornelli ma porteremo avanti il nostro sapere culinario con la autorevole supervisione delle nostre madri. Porteremo fiere i nostri piatti sulle lunghe tavolate imbandite, un po’ come un kosher Masterchef de’ noantri e saremo pronte a critiche e complimenti, perché diciamocela tutta, persino quelle ci sono mancate. E un giorno racconteremo ai nostri nipoti del 2020 e di quella pandemia che ha provato a spazzare via non solo le nostre vite ma anche la nostra essenza e le nostre tradizioni e di come ne siamo uscite fuori diverse, più consapevoli di noi stesse in cucina e fuori.

    Si ringrazia per il disegno Maria Caterina Serra.

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