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    Per conquistare l’attenzione dei ragazzi usiamo i loro stessi ‘’ambasciatori”

    Le trasformazioni che il passaggio ad una società digitale hanno portato con loro, investono prepotentemente il nostro vivere quotidiano in modi che spesso nemmeno immaginiamo. Le applicazioni che ci permettono di avere a casa tutto e subito ci viziano e hanno modificato la nostra percezione del tempo. I motori di ricerca che abbiamo in tasca con la loro accessibilità istantanea hanno addirittura avuto un’influenza sulla nostra capacità di trattenere nozioni e ricordi, modificando il modo con cui organizza le informazioni il nostro cervello. 

     

    Uno degli ambiti sui quali impatta maggiormente la tendenza a rimanere sempre connessi, soprattutto per i giovani, è la nostra capacità di attenzione e la sensibilità agli stimoli esterni. All’incremento del desiderio di trascorrere più tempo possibile con lo smartphone corrisponde l’incapacità ad avere una soglia di attenzione prolungata, quella che più o meno serve a leggere qualche riga, comprendere un titolo o guardare l’inizio di un video. L’attenzione – continuamente spezzettata da notifiche e messaggi – ci rende avidi consumatori di micro-stimoli e ossessionati dalle gratificazioni istantanee che ci procurano gli “scroll verticali” di Instagram e TikTok (ma oggi anche Facebook e YouTube).  

     

    Questo scenario generale si inserisce in un contesto nel quale sempre più spesso capita di vedere giovani che nei campi di sterminio si fanno ritrarre sorridenti davanti ai forni crematori o si fanno selfie davanti a monumenti e baracche. Non è una lamentela frutto del gap generazionale, ma un fatto concreto: indurre larghe fasce della popolazione a scegliere di visitare volontariamente un museo o presenziare ad una cerimonia pubblica per una commemorazione è diventata un’impresa impossibile. Il pubblico è sempre più distante e soffre di una scarsa partecipazione emotiva ai drammi del secolo scorso come a quelli più recenti.

     

    Tutto questo mi porta a riflettere su come non sia solo urgente, ma indispensabile recuperare il coraggio di proporre modalità di coinvolgimento nuove e rivedere di conseguenza gli strumenti didattici per i soggetti in età scolastica e formativi per i loro docenti. Non posso che dirmi favorevole dunque se allo stato attuale per ottenere il loro coinvolgimento si debba ricorrere all’utilizzo dei nuovi influencer della rete. Si tratta di un piccolo espediente che può avere la capacità di scuotere le nuove generazioni facendo breccia nella loro indifferenza per conquistarsi uno spazio dove veicolare solo successivamente informazioni più complesse. Del resto anche titolo e copertina di un libro, così come il discorso introduttivo ad un tema da parte di un docente sono stati negli anni indietro “strumenti di promozione” utili ad introdurre e stimolare alla lettura, alla partecipazione e all’approfondimento.

     

    Dunque l’invito della Senatrice Segre a Chiara Ferragni a visitare il Memoriale della Shoah di Milano non andrebbe derubricato come una scorciatoia che tradisce il fallimento dei metodi tradizionali o come surroga agli indispensabili percorsi di visita. Perché nulla può sostituire lo storytelling e il livello di coinvolgimento ottenibile all’interno dei luoghi – musei, memoriali, percorsi didattici – e attraverso le persone – testimoni, guide, motivatori -. È invece ragionevole aspettarsi che una volta suscitato l’interesse attraverso nuovi stimoli arriverà pian piano la lettura concentrata, lo stimolo alla riflessione, lo spirito critico e l’empatia. 

     

    In questa fase storica gli educatori dovrebbero limitarsi quindi allo studio del fenomeno senza domandarsi eccessivamente cosa ci riserverà il futuro e quanto le dinamiche relazionali derivate dall’abuso dei social media siano etiche o raccomandabili per i nostri giovani. Piuttosto dovrebbero prendere atto che la loro capacità di coinvolgere fasce sempre più ampie di popolazione passa anche per il recruiting e l’esempio visibile di piccoli e grandi broadcaster artigianali, che nelle mani hanno un potere assimilabile a quello che per anni hanno avuto solo le emittenti televisive. 

     

    La lotta impari contro i giganti tecnologici che studiano algoritmi sempre più sofisticati per colpire la nostra emotività e catturare l’attenzione non lascia presagire un cambio di rotta a breve. Nell’attesa quindi che nasca un movimento che proponga una nuova etica di fruizione delle piattaforme digitali, confidando nella capacità plastica del nostro cervello di riadattarsi nel recupero di una socialità più tradizionale, non ci rimane che mutuarne i meccanismi per inserirsi nella scia delle piattaforme che si contendono la nostra attenzione utilizzando …i loro stessi ambasciatori.

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