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    Non indietreggiare. Lo scatto del ricordo

    È una mattina d’inverno. Davanti al Tempio Maggiore di Roma alcuni amici si incontrano per raccogliere con uno Smartphone e un cavalletto un’intervista ad una testimone che seguì proprio in quel luogo i tragici avvenimenti dell’attentato alla Sinagoga di quarant’anni fa. Emilia racconta passo dopo passo tutto ciò che ha visto con i suoi occhi quel giorno, dalle bombe, ai soccorsi, dalla fuga dei terroristi palestinesi, all’arrivo tardivo delle forze di polizia. Il ragazzo che riprende l’intervista fa qualche passo indietro per prendere la figura intera della donna che rievoca i fatti dallo stesso tratto di strada in cui si svolsero. Emilia improvvisamente ferma la ripresa e gli chiede con forza di non indietreggiare. «Per quarant’anni mi sono chiesta perché provo fastidio nel vedere qualcuno che indietreggia. Ho capito soltanto adesso che quel senso di disagio arriva dal 9 ottobre ’82. Davanti alla Sinagoga vidi i terroristi iniziare a darsi alla fuga indietreggiando. E per me è un ricordo insostenibile». Dalle emozioni alla ragione. Solo il racconto ha aiutato Emilia a capire quanto profonda fosse ancora quella ferita. Un richiamo nel quotidiano è come il sale, e la ferita ricomincia a far male.

     

    Nell’anno che si è appena chiuso la vicenda del 9 ottobre è tornata per varie ragioni e con grande forza, più viva che mai nella memoria collettiva degli ebrei romani. Le rivelazioni sul caso, che gettano ombre inquietanti sull’assenza della vigilanza davanti alla Sinagoga il giorno dell’attentato, le domande sospese, la mancata giustizia, l’approssimarsi del quarantesimo anniversario, assieme alla consapevolezza diffusa che non si sia davvero fatto un percorso per rendere il ricordo finalmente memoria di tutti noi, hanno spinto tanti ebrei romani verso un lavoro che punta a creare una narrazione, a scrivere pagine mancanti della storia dell’intera Comunità. Gadiel Gaj Taché, il fratello del piccolo Stefano, ucciso dai terroristi palestinesi il 9 ottobre ’82 nell’attentato, con il suo libro “Il silenzio che urla” (Giuntina) è entrato nelle scuole ebraiche, nelle istituzioni, per condividere la prima vera narrazione che combina il racconto privato, documenti e fatti. I bambini hanno lavorato alla storia del 9 ottobre, un Sefer Torà è stato dedicato alla memoria di Stefano. La Comunità ha organizzato una serie di eventi ed un convegno per ripercorrere e fare chiarezza sugli aspetti storici e politici della vicenda. Il Museo Ebraico terrà in loop per i visitatori il nuovo documentario “Era un giorno di festa”, presentato oltre che agli studenti alla Comunità. I singoli feriti dell’attentato hanno continuato a condividere i loro racconti. Un lavoro collettivo che a distanza di 40 anni vuole riorganizzare il ricordo e far sentire ancor più forte quell’esigenza di arrivare ad una verità.

     

    Viviamo dunque un risveglio della memoria. Stiamo guardando alla storia cercando spiegazioni sul perché quel 9 ottobre gli ebrei romani sono stati lasciati soli, abbandonati sotto il tiro dei terroristi. Per anni abbiamo analizzato tutti i risvolti sociali, politici, giudiziari, della vicenda. Una ricerca che vede i vertici della Comunità in prima linea in un dialogo con le Istituzioni per fare chiarezza. In questo processo è doveroso però anche ricomporre la fotografia della Comunità di allora. Se da una parte gli ebrei romani erano uniti ed impegnati nel rivendicare le ragioni di Israele durante la guerra del Libano, dall’altra ci furono le voci che aderirono a quello che Shalom chiamava “il censimento delle coscienze”. Oggi quelle divisioni sono in larga parte superate, fu il Rabbino Capo Elio Toaff a guidare la Comunità che doveva ripensare il proprio ruolo nella società.

    La dura lezione del 9 ottobre arrivò a tutti: si giunse alla piena consapevolezza che “l’antisionismo filosemita” è una contraddizione in termini, come disse Bruno Zevi nel suo memorabile discorso in Campidoglio all’indomani dell’attentato. Un percorso di elaborazione lo hanno fatto anche le istituzioni italiane: quando il Presidente Sergio Mattarella ricorda, nel suo discorso di insediamento del suo primo settennato, Stefano Gaj Taché come “un nostro bambino, un bambino italiano” finalmente, con uno scatto in avanti, si giunge al riconoscimento della storia.

     

    In questo numero speciale di Shalom Magazine dedicato al 9 ottobre ’82, ripercorriamo i fatti, la vicenda politica e giudiziaria, alla luce di ciò che sappiamo oggi, proponiamo analisi e riflessioni sugli assenti e i presenti di questa vicenda, ascoltiamo le voci dei figli dei feriti, cercando di contribuire ad elaborare una narrazione della nostra storia, guardando a 40 anni fa da dove siamo oggi, senza mai indietreggiare.

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