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    Libertà di stampa, libertà di opinione

    Sul liberalismo sociale delle grandi conquiste umane e tecniche a cavallo tra Ottocento e Novecento poggia l’architrave della Libertà di Opinione, che a sua volta sorregge il grande palazzo in cui ha sede la Libertà di Stampa. Già, un affollato e bollente condominio, uno di quelli in cui le riunioni tra inquilini rischiano ogni volta di degenerare pur trattandosi di summit dei quali non possiamo fare a meno, pena la probabile consegna della nostra proprietà all’arbitrio dei singoli.

     

    D’altronde proprio la sacralità della concezione democratica scaturita da una simile visione (sacra perché giunge a mettere in gioco la stessa vita umana) motivò a suo tempo le scelte trasversali dei nostri padri costituenti, in un arco politico che andava da Dossetti a Togliatti e nell’inevitabile stridore, quasi pietra contro pietra, del forzato assemblamento, eppure realizzato, tra dottrina socio-politica della Chiesa e visione monolitica del Comunismo uscito dal Secondo Conflitto Bellico, mondi separati da una cortina forgiata con lo stesso ferro dei cannoni: nonostante tutto nessun altro diritto costituzionale pare trovare miglior sintesi, perfino lessicale, della libertà di Opinione e di Pensiero sancita dalla Costituzione Italiana. Ed è così che la forma-intervista diviene nella pratica quotidiana lo strumento tecnico attraverso il quale trasformare il concretissimo dogma della Libertà di Stampa in giornalismo alla portata diretta di qualsiasi fruitore.

     

    Al giornalista, cioè al tramite tra l’intervistato e la pubblica opinione, tocca in tale sede l’esclusivo compito dell’indirizzo e quindi del quesito, cioè della rappresentazione critica del pensiero collettivo reso interlocuzione, ma colui che risponde non può che essere lasciato totalmente libero di esprimere valutazioni, pareri e idee, per quanto aberranti possano essere. Non avrei mai giudicato così negativamente la scelta russa di avviare una guerra tanto assurda e inutile, non avrei mai compreso quanto questo conflitto riguardi esclusivamente l’establishment economico e oligarchico che ruota intorno al Cremlino, non mi sarei mai calato così a fondo nella retrograda mentalità di una terra storicamente governata in modo autoreferenziale da vertici politico-militari e non da un popolo invece costretto al silenzio, se non avessi ascoltato le parole del ministro Lavrov, una sorta di squallido compito in classe di storia degno di sonora bocciatura in qualsiasi Liceo nostrano, non fosse altro che per le assurde valutazioni sul mondo ebraico e sulla storicizzazione della Shoah, crimine non certo interpretabile o valutabile in termini riduttivi, in quanto perpetrato solo in quegli anni e solo dal Nazismo (la visione germanica del Fascismo di casa nostra, che a sua volta diede vita a Leggi Razziste, macchia indelebile nel nostro Paese), contro un intero popolo e con prove evidenti, documenti conosciuti da decenni e superstiti che continuano a raccontare le proprie sofferenze di allora.

     

    L’intervista a un Mostro ideologico è uno scoop sul piano tecnico e, nel contempo, un eccezionale contributo alla crescita della democrazia: il ministro di una nazione tanto potente costretto alla più becera propaganda, capace di produrre falsità storiche che trasformano vittime in carnefici, è infatti la più evidente espressione di una sconfitta, dell’anacronismo della forma-dittatura, dell’impossibilità dell’avvento del Comunismo reale (si pensi alla Cambogia di Pol Pot) e della palese impossibilità di compiersi dell’ideologia leninista nella sua forma applicata, pure a dispetto della sacrosanta concezione sociale e proletaria di uomini con uguali diritti giustamente impegnati a liberarsi dalla schiavitù della schiacciante organizzazione industriale del capitalismo.

     

    Non bisogna certo scomodare McLuhan per riaffermare come il clamore fuori luogo di un’argomentazione pubblica ne costituisca il primo elemento di smentita: si guardi, sempre in tema di Olocausto, alle tesi negazioniste che attraverso la propria diffusione sostenuta con foga da ingiustificate e antistoriche frange estremistiche hanno fortunatamente riacceso in questi anni la volontà di testimonianza diretta, e quindi mai confutabile, degli ultimi, lucidissimi internati nei lager nazisti di quelle tragiche stagioni.

     

    Tutto questo ora lo sappiamo grazie a una libera intervista, ma ben altra cosa è la valutazione di quelle parole. Che spetta in primis alle coscienze degli ascoltatori, scevre da potenziali inquinamenti dovuti a intempestive interferenze, e nella sua accezione deontologica al giornalismo interpretativo, in una sorta di post produzione affidata agli esperti nel contesto di doverose rubriche specifiche a margine e completamento dell’intervista stessa.  

     

    La Libertà di Opinione non è mediabile, poiché se lo fosse non sarebbe opinione, e soprattutto non sarebbe libertà. La democrazia – lo sanno gli statisti illuminati e quanti hanno sofferto e sono morti per difenderla – ha processi di crescita e inevitabili costi, da sostenere con la serena coscienza di uomini liberi in primis nel rapporto con altri uomini che non la pensano come loro. Spetta invece alla Storia, a sua volta non opinabile, raccontare i frutti e le distorsioni degli uomini e delle loro spesso nefaste forme di Governo.

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