«La situazione è in stallo e non decolla, ma di certo le proteste non si fermano. Le due principali novità al momento sono che il regime appare confuso. E che l’opposizione appare, a tratti, unita e coordinata». L’israeliana Tamar Eilam Gindin è una linguista e studiosa dell’antica Persia e dell’Iran moderno. È autrice di numerosi saggi sull’antica Persia e ha appena pubblicato “HaMalka” (La Regina), un romanzo storico che racconta i primi due capitoli del libro di Esther. Quotidianamente interviene sui media israeliani per commentare le proteste che in Iran vanno avanti da oltre 4 mesi, da quando il 16 settembre del 2022 Mahsa Amini, la 22enne curdo iraniana arrestata per aver indossato impropriamente il jihab – il velo islamico obbligatorio per le donne – è morta in circostanze controverse mentre era sotto la custodia della polizia morale.
A causa dell’ostilità del regime degli ayatollah nei confronti di Israele, la comunità ebraica iraniana vive nella costante paura di ripercussioni. Dalla rivoluzione del 1979, la popolazione si è ridotta da centomila persone a meno di diecimila. Qual è la situazione per gli ebrei, in queste settimane, nella Repubblica Islamica?
Quando sono iniziate le proteste era Rosh HaShana. La comunità ebraica persiana ha dovuto limitare i festeggiamenti e le preghiere, era troppo pericoloso uscire di notte e andare in sinagoga. Più avanti hanno pubblicato una dichiarazione di supporto al regime.
A dicembre il Jerusalem Post ha riportato di quattro ebrei in carcere, in attesa di giudizio, arrestati per il loro coinvolgimento nelle proteste. Secondo HRANA, l’agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani, il 7 gennaio uno di loro, identificato come Elnathan Masih Israelian, è stato rilasciato su cauzione dalla prigione di Evin. Lei che notizie ha?
Negli ultimi giorni stanno iniziando a circolare informazioni contrastanti. Qualcuno dice che Israelian è stato scarcerato, altri sostengono che sia stato condannato a morte.
Qual è l’atteggiamento dei media israeliani rispetto alle proteste contro il regime degli ayatollah?
Israele è molto cauto nell’esprimere il proprio supporto alle proteste anti governative in Iran perché sappiamo che il regime ci userebbe per delegittimare le istanze dei manifestanti. Ma questa volta è chiaro che il movimento parte dal basso e per questo motivo non c’è nulla che possa squalificarle. In questa fase mi sembra che il regime abbia perso il controllo sulla politica del bastone e della carota e non sappia più quale dei due usare. Ogni volta che le autorità esprimono una certa dose di flessibilità in qualche area, devono poi mostrarsi più dure in un’altra, per non dare adito al popolo di percepire debolezza.
Come si sta muovendo, invece, l’opposizione?
Nei primi minuti dopo la mezzanotte del 1° gennaio del 2023 in Iran c’è stato un momento di ottimismo, quando alcuni membri illustri dell’opposizione, sia dall’interno del Paese sia dall’esilio, hanno postato simultaneamente lo stesso messaggio di auguri e di resistenza. Il problema è che l’opposizione – se si esclude il gruppo militante dei Mujahideen-e Khalq (MEK) sul quale tutti concordano che sarebbe l’unica alternativa peggiore anche rispetto al regime attuale – non è ancora abbastanza organizzata, unita e coordinata.
Cosa possiamo concretamente aspettarci, come risultato di questa onda lunga di proteste?
In uno scenario ottimista, quasi un sogno, l’opposizione unisce le forze e guida una rivoluzione non violenta verso la fase di transizione, fino alle elezioni libere. Nel peggiore dei casi, il regime sopprimerà le proteste con la violenza, con l’effetto di cauterizzare i meno coraggiosi e inibirli per generazioni a venire. Ma per restare con i piedi per terra, stiamo entrando in un periodo di disordini civili continui, uno stato permanente di protesta, che andrà avanti finché qualcosa succederà. E qualcosa è destinato a succedere, perché nessun regime può sopravvivere per sempre.