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    NEWS

    La “Sorpresa” come Principio dell’Arte della Guerra

    Gran parte della stampa ha titolato con particolare enfasi l’ultima fase di sviluppo dello scontro Israele-Hezbollah che si è consumata il 25 agosto 2024, facendo particolare riferimento all’ “attacco preventivo” lanciato dall’IDF, le Forze di difesa israeliane, per depotenziare il bombardamento massiccio pianificato dalla milizia sciita filoiraniana in Libano. L’azione ha avuto successo, contribuendo a limitare il numero di vittime israeliane.
    Il compito delle forze con la Stella di David è stato giudicato dai vari commentatori frutto della più completa sorpresa; proprio il termine “sorpresa” ha riportato chi scrive agli ormai lontani anni della propria formazione militare.
    Presso le Accademie militari dove si formano gli ufficiali che serviranno presso le Forze Armate del proprio Paese, significativa parte del ciclo formativo è devoluto allo studio dei cosiddetti “Principi dell’Arte della Guerra”: principi che aspirano alla razionalizzazione del cosiddetto “Fenomeno Guerra”, cercando di fornire ai Comandanti “ricette” o “modelli” capaci di assicurare il successo.
    Purtroppo le attività operative belliche non possono considerarsi rette da norme scientifiche; esse continuano ad essere fenomeni essenzialmente umani e l’applicazione dei suddetti Principi può in una certa misura tendere al successo.
    Oltre alla già ricordata Sorpresa, in quasi tutti gli eserciti del mondo sono ricompresi anche i Principi della Manovra, della Massa, dell’Economia delle Forze, della Sicurezza, dello Spirito d’Iniziativa, il significato dei quali è in una certa misura comprensibile. Ma restiamo alla “Sorpresa” e alla definizione che ad essa viene data dal Vocabolario Treccani: “Sorpresa azione di sorprendere, non prevedibile che coglie qualcuno impreparato”.
    La Storia del genere umano narra infinite azioni sorprendenti che hanno segnato la disfatta o la vittoria di un esercito; si potrebbe ricordare la battaglia di Canne, quella di Austerlitz e di Waterloo dell’Epopea napoleonica e cento altre, ma in questo momento risulta particolarmente significativa quella che ha visto vincente il Regio Esercito italiano e passata alla storia come 2a Battaglia del Piave, nota anche come “La Battaglia del Solstizio”, combattuta dal 15 al 24 di giugno del 1918, nell’ambito della Grande Guerra sulla Fronte italiana.
    Sulla linea difensiva materializzata dalla congiungente Altopiano dei Sette Comuni, Monte Grappa, Montello e Basso Piave, nel giugno del 1918 si stava per combattere la battaglia che avrebbe potuto modificare in modo significativo la Storia d’Italia.
    Se l’Austria-Ungheria avesse avuto partita vinta, il Regno d’Italia sarebbe uscito sconfitto dalla guerra e profondamente ridimensionato. Come ulteriore conseguenza, sul piano europeo, fortemente in dubbio sarebbe stata la vittoria dell’Intesa sugli Imperi Centrali.
    Queste considerazioni forniscono un chiaro quadro dell’importanza della partita che si stava per giocare sulla Fronte italiana ed in particolare sul settore dell’Altopiano dei Sette Comuni, difeso dalla 6a Armata e nel cui ambito operavano le artiglierie agli ordini del Generale Roberto Segre, figlio di quel Giacomo Segre che il 20 settembre del 1870 comandò la batteria di artiglieria cui venne attribuito il delicato compito di realizzare una breccia nelle Mura Aureliane, per consentire alle truppe regie di entrare in Roma ed acquisirla al Regno d’Italia quale nuova Capitale.
    Alla vigilia dell’attacco, la sera del 14 giugno, Segre corrucciato misurava a passi lenti il suo ufficio; il Maggiore Cesare Finzi, solerte Capo Ufficio Informazioni, aveva confermato l’ora d’inizio della preparazione del fuoco austriaca per le ore 3 del giorno 15. L’Ufficiale aveva confermato anche l’esistenza di indizi secondo i quali le truppe d’assalto nemiche si erano addestrate intensamente a portarsi sotto gli sbarramenti di filo spinato avversari mentre le loro artiglierie effettuavano il fuoco di preparazione; ciò significava che le nostre trincee sarebbero state attaccate già nella fase finale degli interventi di preparazione delle artiglierie austriache. Questo voleva dire che si sarebbe potuto ripetere quanto già accaduto a Caporetto nell’ottobre precedente, quando i nostri fanti ed i nostri artiglieri si trovarono gli avversari nelle proprie trincee e sugli schieramenti dei propri pezzi, prima ancora che l’artiglieria italiana avesse sparato un solo colpo di contropreparazione.
    Questa volta, ciò non doveva accadere, pensava il Brigadiere Generale Segre, mentre si rigirava tra le mani l’ultimo ordine del 13 giugno, ricevuto dal suo Comandante d’Armata, Generale Luca Montuori, con cui si stabiliva che i suoi pezzi avrebbero dovuto iniziare il fuoco solo mezzora dopo l’inizio di quello avversario, cioè quando le truppe d’assalto sarebbero state già pericolosamente vicine alle prime linee italiane. Se, invece, il Generale Montuori avesse accettato il piano di fuoco approntato da Roberto, che proponeva l’inizio degli interventi dell’artiglieria italiana già dalle ore 23 del giorno 14, si sarebbero colpite le truppe ancora in avvicinamento alle linee di partenza, completamente allo scoperto, con effetti anche morali devastanti. Ma per fortuna il Nostro non era solito abdicare alle proprie convinzioni quando era certo della loro bontà. Le cronache narrano che, uscito dalla palazzina dove era sistemato il suo Comando nel paese di Breganze, si recò nella villa che ospitava il Comado dell’Armata per conferire con il Generale Montuori. Cosa si dissero i due Generali non è noto, non esiste documentazione scritta, ma per essa parlano i fatti e questi dicono che Segre la spuntò e fece immediatamente ritorno con nelle mani il suo piano di fuoco approvato dal Generale Comandante.
    Il programma studiato da Roberto venne attuato scrupolosamente e l’avversario venne annichilito dal nostro fuoco; la sua preparazione culturale, la sua intelligenza, le sue convinzioni, la modernità dei suoi concetti di impiego delle artiglierie, consentirono di adottare le scelte giuste e la sua microstoria ha modificato in senso favorevole la grande Storia dell’Italia.

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