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    La proposta di pace di Trump spacca il fronte arabo

    Il «piano del secolo» per il Medio Oriente di Donald Trump è destinato a creare un’ulteriore spaccatura nel mondo arabo. Se è vero che a lungo la causa palestinese è stata l’unico collante a tenere insieme gran parte dei paesi arabi, al di là delle rivalità, da tempo non è più così. E ora le divisioni rischiano di esplodere. Da una parte, come prima reazione alla bozza di 80 pagine presentata alla Casa Bianca, il presidente palestinese Abu Mazen s’è subito mostrato pronto ad accettare l’aiuto di Hamas e ha incitato i giovani a scendere in strada e bruciare e bruciare i ritratti di Trump.

    Eppure il grande rischio per la dirigenza di Ramallah è quello di rimanere isolati in questa nuovo conflitto che si prepara. Alle monarchie del Golfo, infatti, la proposta americana non dispiace, magari con alcune modifiche. Di certo non sono propensi a un nuovo conflitto. La presenza alla Casa Bianca al momento dell’annuncio degli ambasciatori di Bahrein, Emirati Arabi e Oman è stato già un chiaro segnale.  A esporsi ancora di più sono stati l’Egitto, che ha invitato le parti a «valutare con attenzione la proposta», e gli Emirati, che hanno elogiato la «seria iniziativa» americana, «un importante passo per arrivare a una pace duratura».

    La scommessa di Donald Trump e Benjamin Netanyahu si fonda anche su questo punto, sul solco che si potrebbe creare. Dalla parte di Hamas e di Abu Mazen si è schierato, com’era naturale attendersi, l’Hezbollah libanese, che ha parlato di un piano che «vuole distruggere la Palestina» con la «complicità vergognosa» di alcuni Stati arabi. E la Turchia ha ribadito che «Gerusalemme è la nostra linea rossa». Più sfumato, per ora, il no della Giordania che, attraverso il ministro degli Esteri Ayman Safadi ha fatto sapere che la soluzione è «uno Stato palestinese indipendente nei confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale». Re Abdullah si trova ora più che mai a dover gestire una situazione complessa, essendo il 60 per cento dei suoi cittadini di origine palestinese. Insomma, la Giordania è il vaso di coccio della regione e rischia di andare in frantumi in caso di una nuova Intifada. Il punto di svolta potrebbe essere l’estensione della sovranità israeliana alla Cisgiordania, che, stando alle parole dell’ambasciatore David Friedman, potrebbe avvenire «in ogni momento». E Netanyahu ha annunciato una legge già per domenica.

    Sabato si terrà una riunione di emergenza della Lega araba al Cairo, dove si capirà anche meglio la posizione dei sauditi. Se Mohammed bin Salman ha appoggiato senza esitazioni il piano Usa, soprattutto economicamente, sono diversi i punti del piano che non convincono i sauditi. Ieri il ministro degli Esteri Faisal bin Farhan Al Saud ha fatto riferimento al Piano saudita, molto più generoso. In fondo, il grande conflitto nell’ombra, dietro alla questione israelo-palestinese, rimane quello fra Arabia Saudita e Iran.

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