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    La mancata risposta a Lavrov – Il giornalismo non è una telecamera fissa

    Abbiamo assistito ad una pagina nera del giornalismo tv: una intervista al ministro degli Esteri della Federazione russa, Lavrov, che ha esposto senza ricevere obiezioni o contestazioni tesi indecenti ed affermazioni di ripugnante antisemitismo. C’è adesso chi “difende” la scelta della rete televisiva privata italiana (Rete 4) e dell’inerzia dell’intervistatore in nome di una presunta libertà di stampa. Il quale, a proposito delle presunte origini ebree di Hitler e di una presunta identificazione di Zelensky e di altri ebrei col nazismo si è difeso affermando che “È talmente evidente che ha detto una sciocchezza che gliel’ho fatta dire”. Sempre in nome di una presunta libertà di stampa. Che è un principio sacrosanto: ma c’entra davvero qualcosa?

    “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.

    Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori”.

    L’enunciato – è l’articolo 2 della legge 69/1963, quella che istituisce l’Ordine dei Giornalisti – è chiarissimo: la libertà di informazione e di critica è diritto insopprimibile dei giornalisti, ed è obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti. La libertà di critica è parte essenziale della libertà di informazione: e se questa libertà è un diritto per tutti i cittadini (articolo 21 della Costituzione italiana, fra altre fonti: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”) è in sostanza un dovere per i giornalisti.

    Un fatto in sé per sé non è una notizia se non è contestualizzato ed interpretato. E riportare una dichiarazione di una qualsiasi personalità senza contestarne l’eventuale infondatezza e/o falsità, o peggio, specie se ciò avviene nel corso di un’intervista, è il contrario della libertà di stampa. Perché il giornalismo non è una telecamera fissa dinanzi alla quale chiunque può affermare tutto e il contrario di tutto, senza rapporto con la verità sostanziale dei fatti, e nemmeno con la cosiddetta “verità putativa”, cioè quello che in un determinato momento e in date condizioni sembra, in buona fede, essere la verità. E il giornalista non è un reggi-microfono di qualsiasi intervistato, ma è il professionista incaricato di contestualizzare, spiegare, e nel caso correggere informazioni inesatte date dall’intervistato o confutare sue asserzioni in contrasto con la verità.

    Lo schermo dal quale il Grande Fratello ti guarda e ti parla, senza mediazione giornalistica, non è la libertà di stampa: è l’incubo totalitario.

    La telecamera fissa dinanzi alla quale l’intervistato parla senza che un giornalista intervenga non è giornalismo, è propaganda.

    Libertà di stampa sarebbe stata muovere obiezioni, ovviamente cortesi ma chiare, senza aggressività né insulti ma con fermezza, ad alcune delle indecenti affermazioni del ministro russo.


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