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    La battaglia delle donne e dei giovani contro il regime iraniano riguarda anche noi

    La rivolta iraniana e le sue ragioni

    È successo di nuovo. Dopo le proteste sociali del 1992-95, il “movimento verde” del 2009, la grande ondata di proteste del 2018-19, un’altra rivolta sta scuotendo da una decina di giorni l’Iran, innescata dall’assassinio di una ragazza curda di 22 anni, Mahsa Amini, “colpevole” di essere stata scoperta dalla “polizia della virtù” con il velo in testa non sistemato a dovere e perciò arrestata, torturata e picchiata a morte. Sono stati uccisi finora una trentina di manifestanti, che però in diverse città hanno reagito, mettendo in difficoltà l’apparato repressivo. La ragione delle proteste è sempre quella, l’odio popolare per un regime intollerante, violento, insofferente di ogni opposizione, nemico delle donne e delle minoranze etniche e religiose (fra cui gli ebrei). Uno stato che impiega la parte principale del suo budget in spese militari e in particolare nell’armamento nucleare e missilistico invece di occuparsi della povertà crescente della popolazione, che manda le sue truppe in tutto il Medio Oriente, provocando morte, distruzione e anche molti caduti iraniani. Un regime che non riesce a trovare una convivenza pacifica con i suoi vicini, o piuttosto non la vuole perché coltiva ambizioni imperialistiche ai loro danni, e di conseguenza non gode dello sviluppo economico e sociale che gli sarebbe certamente possibile con le sue risorse energetiche e naturali e grazie alla presenza di una popolazione numerosa e abbastanza qualificata. Un governo che reprime ogni dissenso e impone i costumi più arcaici dell’Islam alle masse giovanile e urbane che non lo sopportano, e vogliono vivere normalmente, divertirsi, essere liberi. Un gruppo dirigente che ha innescato una guerra continua con Israele, paese da sempre amico della Persia, e che ora è fra i pochi ad appoggiare l’aggressione russa in Ucraina.

     

    Le armi del conflitto

    Non bisogna farsi illusioni: anche queste proteste saranno sconfitte, come lo furono i movimenti precedenti. L’apparato repressivo è troppo potente, spregiudicato, incontrollato ed è comandato da uomini senza scrupoli e senza pietà. Non a caso l’attuale presidente dell’Iran, Raissi,  prima di questo ruolo era stato a lungo il capo del sistema giudiziario iraniano e veniva soprannominato “il macellaio” per il suo modo intransigente e violentissimo di condurlo. Inoltre le proteste non hanno attualmente grande appoggio dall’estero, né al livello governativo, né a quello dei movimenti. I governi europei e quello americano sono stati zitti, e anche chi dovrebbe essere più colpito dalla repressione delle donne e dei giovani, le femministe, i movimenti di protesta sociale, non hanno quasi preso posizione. E però queste proteste si estendono (questa volta vi sono stati scontri anche a Qom, la città santa dell’Iran sciita, dove hanno sede le accademia clericali e abitano i principali ayatollah, compreso Khomeini prima della sua morte e ora Khamenei.  Non solo le manifestazioni di strada, ma anche i gesti simbolici come il rogo dei veli e il taglio dei capelli, si sono diffusi in tutto il paese anche grazie ai social media. Vi è dunque uno scontro fra simbolismo di libertà e violenza del regime. E’ assai probabile che la violenza prevalga, ma si può prevedere che le sue basi siano progressivamente scalzate da un dissenso che si riproduce nonostante la repressione e l’intimidazione.

     

    I riflessi internazionali

    Il regime iraniano oggi è al centro di una doppia attenzione. L’Occidente e in particolare l’Unione Europea e l’amministrazione americana di Biden vogliono a ogni costo riprendere l’accordo concluso a suo tempo da Obama per ritardare il nucleare iraniano, anche a costo di finanziare massicciamente il regime e dunque la sua politica imperialista in Medio Oriente. Ma è sempre più chiaro che il regime iraniano non è disposto a vivere in pace: le sue truppe sono in Libano, Siria, Irak, Yemen e la sua sovversione è attiva nel resto dei paesi vicini; la sua responsabilità per attentati a dissidenti, scrittori come Rushdie, istituzioni ebraiche, ne fa uno stato criminale; la guerra a Israele è dichiarata tutti i giorni. Anche la repressione interna, come quella in corso, sconsiglia quell’aiuto occidentale al regime che sarebbe il rinnovo del trattato atomico. D’altro canto l’Iran è il migliore alleato della Russia, le fornisce i droni con cui i generali di Putin bombardano la popolazione civile; è insomma un nemico dell’Occidente, una parte importante dell’alleanza totalitaria che sfida la pace nel mondo. Questa collocazione, se non la solidarietà con giovani e donne che si battono per liberarsi dall’oppressione, dovrebbe indurre i governi occidentali ad appoggiare le proteste. Finora non è accaduto, speriamo che vi sia una presa di coscienza generale del fatto che la battaglia in Iran ci riguarda da vicino.

     

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