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    Israele-Sudan, nessuna svolta diplomatica. Almeno per ora

     

    Le vie della diplomazia sono fluide, spesso contorte e lente. È convinzione di una buona parte di analisti che il recente “Accordodi Abramo” siglato da Israele ed Emirati Arabi Uniti possa creare un effetto domino nell’area, nella direzione di una progressiva normalizzazione dei rapporti dei paesi arabi con lo Stato ebraicosotto la mediazione degli Stati Uniti. Mediazione che però, nel caso del Sudan non ha portato a passi concreti. La visita del segretario di Stato americano Mike Pompeo, con lo storico volo diretto da Tel Aviv a Khartoum, sembrava l’occasione perfetta per un passo in avanti verso il riconoscimento da parte del Sudan dello stato israeliano e la ripresa delle relazioni diplomatiche. Ma il primo ministro sudanese, Abdalla Hamdok, ha chiarito che il governo di transizione che presiede non è stato incaricato di normalizzare i legami con Israele. 

    Che una svolta immediata in Sudan non fosse immediata era in realtà chiaro da tempo. Lo scorso febbraio il capo del Consiglio di Transizione al potere in Sudan, il generale Abdel Fattah al-Burhan, aveva incontrato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in Uganda. Un incontro che aveva portata a manifestazioni di protesta in Sudan e costretto il generale a mettere in dubbio una rapida normalizzazione delle relazioni. La settimana scorsa, poi, Haider Badawi Sadiq, il portavoce del ministero degli Esteri sudanese, era stato licenziato dopo aver affermato in un’intervista a un’emittente emiratina che il suo Paese avrebbe presto seguito la strada di Abu Dhabi.

    Il “tour della normalizzazione” di Pompeo, che oltre il Sudancomprende il Bahrain e gli Emirati Arabi Uniti, è un passaggio cruciale nel grande gioco della geopolitica araba e mediorientale, un gioco in cui l’instabilità è una variabile costante. Egitto e Giordania, che già hanno relazione diplomatiche con Israele, finora sono stati considerati un’eccezione, perché condividono il confine con lo stato ebraico e quindi avevano motivazioni particolariSarà interessante ora vedere se si allargherà lo spettro di paesi arabi che riconoscono Israele. E sarà ancora più interessante capire la strategia dei palestinesi, per i quali questo processo di “normalizzazione” potrebbe essere politicamente una catastrofe. D’altra parte il piano dell’amministrazione Trump è chiaro: la Casa Bianca spera di arruolare altri a seguire l’esempiodegli Emirati Arabi – con Sudan appunto, Bahrain e Oman in cima alla lista – creando così un allineamento arabo-israeliano contro l’Iran, anche a spese dei palestinesi.

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