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    IL FILM SU DREYFUS. SE THEODOR HERZL FOSSE STATO ALLA MOSTRA DEL CINEMA

    Fosse capitato a Venezia per la mostra del cinema Theodor Herzl, redivivo, si porrebbe molte domande. Con la risposta facile, anzi facilissima. La figlia di Theodor, Margarethe “Trude” Herzl Neumann fu assassinata dai nazisti a Terezin il 17 marzo 1943. Aveva 50 anni. Ma lo Stato di Israele esiste perché il capitano Alfred Dreyfus fu ingiustamente accusato di alto tradimento e spionaggio a favore della Germania. Trascorse parecchi anni nel carcere dell’Isola del Diavolo, nome non casuale, alla Guyana francese. Dalla costa di fronte a quell’isola, magnifiche sorti e progressive del genere umano (direbbe il nostro Leopardi), partono oggi i missili Ariane delle missioni spaziali ESA/Unione Europea. Lo Stato Ebraico dunque esiste soprattutto perché un giovane giornalista nato a Budapest, inviato del quotidiano viennese Neue Freie Presse si trovò a scrivere le corrispondenze da Parigi nei giorni più caldi e violenti del processo. Era il dicembre 1894. Poi, il 5 gennaio 1895, Theodor Herzl è all’esterno della Scuola Militare, mentre nel cortile dell’edificio la corte marziale fa spezzare la sciabola d’ordinanza. Il capitano Dreyfus viene così pubblicamente degradato dopo la condanna a vita. Si procede nella lugubre cerimonia dell’espulsione dal servizio. Theodor è un giornalista molto bravo, sta al posto giusto nel monto giusto. Vede sfilare un corteo di molte migliaia di persone al grido di “mort aux Juifs!”. Si tratta di bravi borghesi, non ci sono sottoproletari abbrutiti dalla miseria. Siamo un popolo che vive perennemente in territorio nemico, aveva scritto Herzl in una lettera di qualche anno prima. Ma non ha visto ancora nulla, solo l’antisemitismo per ora snob e chiacchierino dei salotti della civilissima Austria-Ungheria. La risposta all’affaireè il primo congresso sionista di Basilea, nel 1897, e il progetto dello Stato degli ebrei. Herzl è un visionario, ma un visionario operativo. Gli danno del folle, ovviamente, e in particolare si attira la disapprovazione del mondo ebraico del tempo. Commentando Venezia 76 di tutto si è parlato, ci sembra, tranne che di questi… Ma sì, chiamiamoli dettagli. Ci atteniamo alle recensioni serie, non ai processi senza prove di certi media USA che ritengono J’accuseun film mediocremente divulgativo. Quella che a Roma chiamiamo “puzza sotto il naso” non aiuterà i liberal di Washington e di New York a vincere la corsa presidenziale del 2020. La precisa ricostruzione che Roman Polanski propone della storia di Alfred Dreyfus, ufficiale di stato maggiore dell’esercito francese e precoce, simbolica vittima del moderno antisemitismo di massa incoraggiato dalle borghesie al potere, uscirà nelle sale italiane a fine novembre 2019. Il film ha vinto il Gran Premio della Giuria. In attesa di pagare il biglietto, poco si può dire. Se non che la critica ha accolto in Europa questo nuovo “J’accuse! includendolo immediatamente tra i capolavori e che Roman Polanski è un grande. La sua vita di scampato alla Shoah in Polonia e poi ad una terribile sciagura personale a Los Angeles nel 1969 è notissima alle cronache, non solo quelle del cinema. La colpa della quale si è poi macchiato nel 1977 è oggetto di una lunga vicenda giudiziaria made in USA. Fino al perdono della sua vittima, all’epoca giovanissima minorenne, che anche di fronte alle polemiche di queste ultime settimane ha espresso pubblicamente compassione e solidarietà per il regista. Colpa e storia archiviate anche dalla vittima, dunque, però ancora pendenti secondo la giustizia californiana e molti cosiddetti (e cosiddette) liberal sulle due sponde dell’Atlantico. La vicenda è delicatissima e difficile, tuttavia le informazioni necessarie per formarsi un’opinione si possono trovare con grande facilità, nell’epoca di internet. Sono evidenti le ragioni che inducono Roman Polanski a non lasciare la Svizzera, dove risiede. Polanski ha 86 anni e possiede doppia cittadinanza, francese e polacca. Abita a Gstaad. I tribunali elvetici hanno definitivamente negato l’estradizione.

    PIERO DI NEPI

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