E’ un giorno di festa per la democrazia israeliana. Yitzhak Herzog, eletto qualche settimana fa dal Parlamento con 83 voti su 120, è ufficialmente presidente di Israele, avendo giurato davanti alla Knesset nel pomeriggio. Il suo mandato durerà sette anni.
L’undicesimo presidente di Israele è di origini ashkenazite e uomo, come tutti i suoi predecessori. Herzog appartiene inoltre a quell’”aristocrazia sionista” che si è assunta da generazioni la responsabilità di costruire e guidare lo stato di Israele: è figlio di Haim Herzog, generale e presidente di Israele per due mandati dal 1983 al 1993, ed è nipote di Yitzhak HaLevi Herzog, rabbino capo d’Irlanda dal 1922 al 1935, poi dal 1936 immigrato in Israele e nominato immediatamente secondo rabbino capo askenazita di Eretz Israel, successore del grande Rav Kook. Gli capitò anche di essere il primo del nuovo stato ebraico, dato che mantenne la carica fino al 1959, coprendo il periodo cruciale della Shoà e della fondazione dello stato. Ci sono le fotografie che lo mostrano serio e lieto, alla cerimonia di firma della dichiarazione di indipendenza. A lui si deve quella preghiera per lo stato di Israele che viene recitata nelle sinagoghe di tutto il mondo.
Il nuovo presidenteha una carriera precoce e assai ricca: nato nel 1960, dopo il servizio militare concluso col grado di maggiore e studi legali prestigiosi negli Stati Uniti, ha fatto pratica da segretario del Consiglio economico-sociale, diventando però presto segretario del governo (noi diremmo: sottosegretario alla presidenza del consiglio, un posto importantissimo) per Ehud Barak fra il 1999 e il 2001, poi presidente dell’Autorità antidroga, deputato laburista nel 2003, ministro dell’edilizia, poi del turismo, degli affari sociali, della diaspora. Dal 2013 al 2017 è stato leader del partito laburista. Dopo la sua sconfitta alle primarie del partito in quell’anno, Herzog nel 2018 fu nominato presidente della Sochnut, l’Agenzia ebraica per Israele, un organismo che durante il periodo del Mandato britannico è stato il rappresentante dell’insediamento ebraico e che oggi cura soprattutto rapporti fra lo stato di Israele e la diaspora, occupandosi dell’immigrazione e della difesa degli ebrei del mondo dall’antisemitismo. Ha tre figli e vive in un sobborgo residenziale di Israele. E’ un uomo di riconosciuta correttezza e serietà, un politico poco espansivo e molto riflessivo, una figura rispettata che deve imparare a conquistarsi la popolarità e la capacità di empatia dimostrata da Rivlin.
Herzog è un laburista, membro cioè del partito che ha sostenuto il peso principale del governo durante il periodo del Mandato e per i primi decenni dello stato di Israele e che poi ha perso progressivamente importanza, fino ad arrivare nelle ultime elezioni a ottenere poco più del cinque per cento dei voti. Ma la presidenza della Repubblica in Israele è esclusa dalla normale dialettica politica, è attribuita alle persone più che ai partiti, anche perché il Presidente ha poteri molto limitati, non è neppure un notaio o un mediatore, come in molti paesi europei, ma piuttosto un simbolo, il rappresentante di Israele all’interno nei confronti dei vari settori della popolazione e sulla scena internazionale. È un posto che conclude con grande onore le carriere dei politici: prima di Herzog è toccato fra gli altri a Shimon Peres, a Chaim Weizmann e a suo nipote Ezer Weizmann, oltre che a Chaim Herzog.
Alla cerimonia di insediamento Herzog ha fatto un discorso bello e molto applaudito, che dimostra la sua consapevolezza del ruolo più morale che politico, ricoperto dalla presidente di Israele. Ai parlamentari della Knesset ha detto: “Da qui andrò alla residenza dei presidenti di Israele, e da lì a un viaggio tra le linee della frattura e della divisione della società israeliana. Un viaggio che mira a trovare ciò che unisce nelle differenze, un viaggio pensato per riscoprirci. Andrò a incontrare il dolore, ad affrontarlo, a porgere orecchio e cuore – incontrando tutte le difficoltà e i punti di vista, anche sugli argomenti più esplosivi. In questo viaggio, come ho fatto durante i miei anni al servizio della società israeliana, mi rifiuterò di vedere solo l’identità pubblica della persona di fronte a me. Come sempre, cercherò sempre di vedere l’aspetto interiore. Gli esseri umani, la loro essenza, la storia di ognuno, la complessità e l’unicità, i piccoli e grandi successi, le difficoltà e i dolori accumulati lungo il percorso.”